Attualità

LA MALATTIA MI HA DONATO LA FEDE

La storia commovente di un giovane attore:

dalle luci chiassose dello spettacolo

al silenzio della sofferenza che diventa preghiera.

(di Roberto Allegri; Foto di Nicola Allegri)

Si chiama Fabio Salvatore. Ci siamo incontrati a Roma,  pochi giorni prima che un’improvvisa nevicata mettesse in crisi la capitale. Però, di quella neve di cui si è tanto parlato, nell’aria c’erano tutti i segni. Tanti anni di lavoro all’aperto, in mezzo ai cavalli, mi hanno insegnato a capire quando il vento porta con sè la promessa del bianco. E quel giorno, il soffio di febbraio era gelido e secco, tagliente come la lama di un bisturi, e si infilava sotto la sciarpa, sotto il maglione, se la rideva della mia giacca pesante. La sentivo nel palato, la neve. Ma non ho fatto in tempo a vederla perché ho lasciato Roma prima che cominciasse a scendere. L’ho vista in seguito, al telegiornale, insieme a tutte le polemiche che ha sollevato col suo arrivo inaspettato.

Quel pomeriggio, in mezzo a tutto il freddo che  annunciava la neve, avevo però il cuore caldo. Pulsava, anzi cantava. Perché avevo incontrato una persona speciale, una di quelle le cui parole restano, si fanno strada nell’anima e lì si costruiscono un nido.

Fabio Salvatore è uno così. E la sua storia, di sofferenza e di speranza, è di quelle che fanno respirare meglio, di quelle che ci fanno sentire meno soli a questo mondo. Una storia alla quale ci si può appoggiare come ad un bastone saldo e seguitare il cammino più stabili di prima.

<<La malattia ha cambiato la mia vita ma soprattutto mi ha regalato la fede. Quella vera e profonda>>, mi ha detto Fabio. <<Vivevo senza uno scopo, inseguendo solo il piacere. Poi ho incontrato il cancro e con la sofferenza ho incontrato anche Gesù.>>

Queste parole sarebbero accettabili  se fossero pronunciate da una persona anziana, una persona che dopo una vita di sbagli si redime in vista dell’ultimo passo. Invece, Fabio ha soltanto 36 anni e da tempo combatte contro la terribile malattia. Che lo ha trasformato completamente.

L’appuntamento era al “Centro Benedetto XVI”, sede romana di  “Nuovi Orizzonti” una associazione religiosa laica, fondata da Chiara Amirante, che sta affermandosi in campo internazionale, soprattutto tra i giovani, e che ha già avuto l’approvazione della Santa Sede. Il “Centro” si trova in una villetta da poco restaurata, proprio accanto all’ingresso del Parco di Monte Mario. E’ stato proprio Fabio a venirmi incontro, avvolto in una sciarpa e col berretto di lana calcato fino sugli occhi. Un ragazzo esile, minuto e coi lineamenti affilati, ma col fuoco nello sguardo. E un sorriso di quelli che “spostano”, che hanno la forza di una spinta. Mi ha abbracciato, come prima cosa. E io, che sono molto attento a questo tipo di cose rimanendo sempre un po’ “orso” nei contatti con la gente, sono rimasto colpito. Non c’era affettazione in quel gesto, solo tanta spontaneità. E’ stato un abbraccio che mi ha scaldato.

Ero lì a Roma, mandato dal mio giornale, per raccogliere la testimonianza di Fabio in vista dell’uscita del suo libro intitolato “A braccia aperte tra le nuvole”, pubblicato da Piemme. Un libro pieno di quei “segni” e di quelle “coincidenze” inspiegabili e particolari che caratterizzano le conversioni. Quelle vere. Un libro che ha da subito incontrato l’affetto del pubblico tanto che, a poche settimane dalla sua uscita, sta scalando in fretta le classifiche delle vendite.

Nelle sue pagine, Fabio racconta la sua storia con disarmante onestà. A cuore aperto e senza nascondere niente. E la sua vicenda pare davvero uscire da un romanzo tanto è ricca di colpi di scena, imprevisti e tanta, tanta spiritualità. Una storia che ha la forza di spingere a pensare, che fa chiudere gli occhi e rivolgere l’attenzione verso quel “qualcosa”, quel “qualcuno” che sta lassù e che continua a tenderci la mano. E che troppo spesso non riusciamo a vedere.

Fabio Salvatore era lanciato verso una lucente carriera artistica. Allievo di Enzo Garinei e Giorgio Albertazzi, recitava in teatro, appariva in televisione, era l’idolo delle ragazze nelle discoteche. Ma poi, improvviso, il cambiamento totale, al punto di decidere di lasciare la carriera artistica e la vita mondana per dedicare totalmente la propria esistenza agli altri. Mi sono fatto raccontare da lui i perché, i sentimenti e le emozioni e riporto tutto qui, adesso. Ma senza aggiungere le mie domande, come si fa negli articoli per i giornali. Voglio lasciare che siano le parole di Fabio a spiegare, senza interruzioni, tutto quello che è successo.  Ecco il suo racconto:

<<Quando avevo vent’anni facevo il vocalist nelle discoteche e nell’ambiente ero molto apprezzato. Giravo l’Italia, ogni sera in un locale diverso. Ero ammirato e conteso dalle ragazze e scoprii in fretta che mi piaceva molto il gioco del sesso. Avevo una ragazza diversa ogni sera, senza trasporto, senza emozione però. Solo la ricerca di un piacere che non mi dava soddisfazione. E’ che non ero felice, sentivo che mi mancava qualcosa.

<<Una sera, dopo l’ennesimo incontro di sesso con una ragazza appena conosciuta, camminando per strada ho trovato a terra una medaglietta della Madonna con la scritta “MIR”. Allora non sapevo che era l’immagine della Madonna di Medjugorje e che quella scritta in croato significa “pace”. Me la sono ugualmente messa in tasca, seguendo un impulso che forse era un suggerimento, e da quel momento non me ne sono più separato. Eccola, l’ho sempre con me, insieme ad un rosario, dono di un ragazzo detenuto in un carcere minorile.

<<A quel tempo non sapevo pregare. Ero un cristiano distratto, incostante, opportunista. Mi capitava di rivolgermi a Dio nel bisogno e senza mai dire grazie. Insomma, Dio non occupava i miei pensieri eppure, dentro di me, avvertivo che quel senso di infelicità, di disagio, poteva essere alleviato soltanto pregando. Così mi sono rivolto alla Madonnina della medaglietta dicendole: “So che sto sbagliando. Voglio cambiare. Donami la capacità di amare”. La risposta a quella mia preghiera non si fece attendere.

<<Quello stesso anno conobbi Rossana. Lei mi fece incontrare l’amore vero, puro, totale. Capii cos’era il battito del cuore, le emozioni, la carezza, il bacio. Cose che diamo per scontato ma che scontate non sono. Rossana era uno tsunami di emozioni. E adesso penso che sia stata anche una sorgente di forza e di amore che doveva prepararmi per quello che sarebbe accaduto. Infatti, pochi mesi dopo avere incontrato l’amore, scoprii anche di avere un cancro alla tiroide.  Avevo solo 22 anni. Era il settembre del 1998.

<<La mia prima reazione fu di negare l’evidenza. No, non era possibile che fossi malato, mi dicevo. Io recitavo in teatro, ero seguito da pubblico e critici. La malattia non era nei miei piani. Facevo finta che il cancro non ci fosse. Ma peggioravo, ero afono, perdevo peso.

<<In quel periodo, feci un viaggio in Marocco. Entrai in contatto con una grande povertà, vidi tanta gente sofferente chiedere l’elemosina per poter mangiare. Allora accadde qualcosa dentro di me, qualcosa che mi cambiò. Avvertivo tutta quella sofferenza, sofferenza dell’anima, e la mettevo a confronto con la mia situazione. Anche io provavo dolore, nel mio intimo e nel corpo perché ero malato. Ero dunque come quella gente, ero simile a loro. Ero vero, non facevo più parte di un mondo rarefatto, di apparenza. Venni travolto dalle domande. Mi chiedevo il perché della sofferenza, della solitudine. Non mi ero mai chiesto questo tipo di cose prima di allora. Ed erano domande che stavano iniziando a trasformarmi. Così, calai la maschera e ammisi a me stesso e alla mia famiglia, la mia condizione. Nel giro di poche settimane mi ritrovai in ospedale, sottoposto ad un intervento di cinque ore che fermò, sia pure parzialmente, la malattia.

<<Io e Rossana decidemmo allora di partire per il Portogallo alla ricerca dei luoghi di Pessoa, autore che amavo e di cui avevo portato in scena alcune opere. Rossana mi chiese: “Perché non andiamo anche a Fatima?”. Le risposi che non avevo alcuna voglia di perdere tempo in un santuario.

<<A Lisbona però cominciai a stare molto male, anche perché il nostro bagaglio era andato perduto e dentro c’erano tutte le mie medicine. Una notte, febbricitante, tremante di freddo, vidi,  nel dormiveglia, una grande luce. Sentii molto caldo e mi apparve un amico carissimo che avevo perduto a 17 anni per un incidente stradale. Mi svegliai di soprassalto e, guardando sul comodino, vedi la medaglietta della Madonna. “Strano”, dissi a me stesso “ero sicuro di averla lasciata nella tasca dei pantaloni”.

<<Scesi nel bar dell’albergo per bere una camomilla e lì trovai un gruppo di spagnoli. Stavano cantando, erano allegri, pieni di vita. Chiesi al barista che cosa stessero facendo. “Pregano cantando, la Madonna di Fatima”, mi rispose. Fu come se avessi ricevuto un pugno in pieno petto. Corsi in camera e svegliai Rossana. “Dobbiamo andare a Fatima!” le dissi.

<<Partimmo immediatamente. Per tutto il viaggio rimasi in silenzio. Ma nel momento in cui misi piede a Fatima, mi sentii trasformato. C’era tutta quella gente che, in ginocchio, si muoveva verso il santuario. Persone  ferite, malate, mamme coi bambini in braccio, anziani smarriti, paralitici in carrozzella. Uomini e donne che piangevano, che pregavano. Percepii una immensa sofferenza, ovunque. Ma anche una grande fede, potente, reale. Mi sentivo uguale e partecipe a quella moltitudine perché anch’io avevo sperimentato il dolore fisico ma soprattutto avevo sperimentato quello dell’anima. Rimasi due ore immobile davanti alla statua della Madonna, in contemplazione. All’improvviso sentii dentro di me una voce che mi diceva: “Sono qui. Sono qui per accoglierti, figlio mio!” Scoppiai in lacrime e piansi a lungo come non mi era mai capitato. Tornati in albergo: ad attenderci c’erano i bagagli con le medicine.

<<Da quel momento, ho abbracciato la fede con il desiderio di viverla in pieno. Avevo capito che Gesù era sì una presenza celeste ma anche terrena e lo si poteva incontrare per la strada, tra la gente che sta male. In mezzo alle persone che hanno bisogno come io avevo bisogno di loro perché ogni volta che aiuti qualcuno, aiuti te stesso. Avevo capito che la fede era anche un deserto di lacrime e sudore e in quel deserto avevo cominciato a camminare e camminare. Insomma, ero una persona diversa ma le prove per me non erano finite.

<<Nel 2007, finì la mia storia d’amore con Rossana. Eravamo cresciuti, io ero molto cambiato. Nello stesso periodo, il cancro si ripresentò agguerrito più di prima. E mio padre morì in un incidente stradale, ucciso da un giovane che guidava ubriaco. Mi sentii distrutto. La disperazione più totale stava per travolgermi, ma reagii ricorrendo alla fede che ormai era parte della mia vita. Presi in mano il rosario e, guardandomi allo specchio, dissi: “Sia fatta la tua volontà, Signore. Mi affido totalmente a te e a tua Madre”. In quel preciso momento il mio essere fu colmato da una sensazione di profondo benessere e capii che era l’amore di Gesù. Una presenza forte, viva, reale. Ed iniziò la mia nuova vita.

<<La malattia non mi ha più abbandonato. C’è ancora. Mi accompagna ogni giorno e io la tengo sotto controllo con i farmaci. Il simbolo della croce è diventato il simbolo della mia vita perché ci sono giorni in cui mi sento davvero come un uomo crocefisso. Però è una croce che porto con amore e dignità perché ho capito che il cancro è stato l’occasione per cambiare, per incontrare Gesù. Cristo mi ha fatto capire che la sofferenza va offerta. E così ho fatto. Allora la redenzione e il perdono sono entrati nella mia esistenza. Ho perdonato il cancro. Anzi, ho finito con il ringraziare la malattia in quanto mi ha donato una nuova vita.

<<Un giorno, mentre ero in ospedale per una terapia, ho conosciuto Emanuele, un ragazzo anche lui malato. Mi ha detto di essere un tossico dipendente e che voleva cambiare la sua vita. Siamo diventati amici e usciti dall’ospedale mi ha chiesto di accompagnarlo in una comunità di recupero. La comunità era “Nuovi Orizzonti”, quella fondata da Chiara Amirante.

<<Ho accompagnato il mio amico, ma da quel posto non me ne sono più andato. A “Nuovi Orizzonti” ho trovato le risposte a tutte le mie domande. Ho abbracciato gli ideali di quella Comunità. Mi sono messo al servizio degli altri, ho iniziato a diffondere il Vangelo per la strada. Ho lasciato il teatro, ho abbandonato tutto il mondo apparentemente dorato che prima mi affascinava, per seguire gli ideali di “Nuovi Orizzonti”.  E il prossimo maggio, nel giorno di Pentecoste, farò solenne promessa di povertà, castità, obbedienza e gioia, diventando un membro effettivo di quella Associazione>>.

info@editorialedegliolmi.it

Tags

Related Articles

9 thoughts on “LA MALATTIA MI HA DONATO LA FEDE”

  1. Grazie Fabio, ancora una volta grazie! Ancora una volta trovo nelle tue parole un esempio grande di fede vissuta e non solo raccontata. Ringrazio Dio per averti come fratello e ringrazio Dio per avermi donato questa grande famiglia che è Nuovi Orizzonti. Ti voglio bene! Un abbraccio.

  2. Ciao fratellino ti voglio veramente BENE!
    Riporto questa tua frase: “la fede era anche un deserto di lacrime e sudore e in quel deserto avevo cominciato a camminare e camminare.”…
    e poi “… la redenzione e il perdono sono entrati nella mia esistenza. Ho perdonato il cancro. Anzi, ho finito con il ringraziare la malattia in quanto mi ha donato una nuova vita”…
    TI voglio veramente BENE! t’abbraccio, CIAO!

  3. Quando si parla di malattia,non ci riferiamo solo a quella fisica,ma anche a quella morale…. questa esperienza mi fa capire che la la sofferenza è totale..per alcuni momenti è capace di eliminare tutto quello che hai costruito nella vita. Ti fa crescere al punto di scegliere e dare la giusta priorità alle cose.Quando si arriva a questo stato ti accorgi che non sei più solo,c’è qualcuna che ti ha raggiunto e si è voluto presentare,anche con la malattia,e ti dice seguimi e ti salverò. Auguri di cuore Giancarla

  4. Sei la dimostrazione, Caro Fabio, che la sofferenza redime. Non sempre come lo vogliamo e che anzichè rifiutarla bisogna accoglierla. E’ un’esperienza che ho maturato diverse volte nella mia vita.
    Un salutone e che la Gospa guidi sempre i tuoi passi… perchè tu sii luce per gli altri.

  5. La vera sfida che è chiesta al cristiano nella malattia è come continuare ad amare e continuare ad accettare di essere amato. Questa è l’unica cosa che il vangelo chiede al cristiano. La vera sfida per ciascuno di noi nella malattia è continuare ad amare perché il dolore abbruttisce, il dolore ci fa diventare egoisti, il dolore ci provoca e fa pensare soltanto a noi stessi, il dolore ci rende, addirittura, a volte la presenza degli altri, insopportabile. Il vero compito all’interno della malattia è questa fatica del continuare a credere all”amore, all’amore attivo verso gli altri e credere all’amore degli altri verso di noi.
    C’è un bellissimo testo di Gregorio Nazianzieno che dice: ” Signore fa che io ti sappia amare con tutto il cuore, con tutta la mente quando la mente della vecchiaia vacillerà e con quelle poche forze che mi resteranno quando sarò malato, ma fa che continui ad amare Te e gli altri come te stesso e allora il cammino verso di Te è un cammino di speranza, io dico è un cammino di senso, un cammino che con tutto il prezzo e il dolore val la pena di essere percorso insieme agli altri perché se si ama gli altri son sempre accanto a noi, destinatari dell’amore, o sorgenti di amore per noi.
    un abbraccio forte fabio

  6. Mi concedete qualche parola? Se vorrete farlo, grazie già da ora!
    La malattia è crudele come la vita, che spesso ti prende alle spalle e ti tradisce, e tu devi soccombere, senza difese né sostegno né comprensione. Non hai parole da opporre, nessuna parola ti serve in realtà, sei solo col tuo dramma, la tua disperazione, con la morti che senti in agguato ogni istante di più. Medici, ospedali, esami, interventi chirurgici e terapie, passa qualche mese, e poi ricominci a chiederti a cosa sia servito tutto questo, forse solo per prolungare lo stremo della tua esistenza d’agonia? Per me è così, per tanti che ho incontrato nella mia breve avventura di medico psichiatra è stato così, per molti altri sarà così.
    Si nasce, si cresce, si sogna, si sceglie, si sbaglia, si muore, nel frattempo che tutto questo accade e si consuma, si vive, e vivendo si soffre e si gioisce. A me questo basta, mi va bene così, ad altri, a molti, a troppi purtroppo, molto di tutto questo nemmeno è stato concesso, da una sorte avversa e troppo malvagia e crudele.
    La fede, a parer mio, non fa il miracolo di far accettare la propria malattia, le personali disavventure, spesso troppo tragiche o troppo comiche, volenti o nolenti, credenti o increduli, questo ci è imposto a tutti di accettarlo quando viene ad accadere, a verificarsi in ognuna delle nostre esistenze, la fede, credo, conceda la grande ricchezza, l’immenso dono di far vivere tutto ciò con serenità, con meno inquietudine e tormento, e questa è una grande cosa. C’è una certezza nel cuore del credente, non una fiducia ma una certezza, di un approdo diverso, più bello e migliore, fatto di amore puro e infinito. Una certezza, questa certezza, che il non credente non sente, non avverte, non vive, e questo consuma il suo animo, lo devasta, lo divora, allo stesso identico modo di come una cellula impazzita fa con il suo corpo.
    C’è chi è consumato nel fisico e solo in quello, e chi anche nell’interiorità.
    Affidi tutto all’uomo, al medico, alla maestria delle mani di un chirurgo, alla sapienza farmacologica di un oncologo, alla delicatezza profondo di uno psicologo, ma tutto questo ti occorre, ti serve, ti necessità qui, su questa terra, in questo mondo, ed ogni cosa che ad adesso appartiene e in esso si esprime è limitata, caduca, imperfetta, manchevole.
    Il mio cancro al pancreas, operato da poco più di un anno, il 25 febbraio 2011, ecco, si è ripresentato, in sordina, furtivamente…di nuovo spasmi addominali, e nuovi contorcimenti, stanchezza, sudore, dimagrimento eccessivo, sbalzamenti ematici, solita nausea e soliti vomiti, ma questa volta più frequenti…sei medico, ci sei già passato, e cominci a torturarti, hai paura di fare accertamenti, controlli, esami, per il solo fatto di non vedere confermata la tua paura, e così arrivi al culmine di quel sentimento che un famoso psichiatra ha chiamato ‘paura della paura’, e non vivi più. Però poi realizzi la situazione, ne prendi consapevolezza con lucidità e, forse, con la forza della rassegnazione, e vai…nuovi controlli, nuovi esami, accertamenti specifici, ed ecco la conferma…la conferma della tua paura! Un nuovo involucro, di natura carcinomica, creatosi proprio ad altezza della sutura praticata dopo il primo intervento, con l’asportazione di parte del corpo più la coda del pancreas, insieme alla milza. Un nuovo cancro, una nuova sciagura che si aggiunge ad alcune altre di questi tempi, e che fai allora? Per adesso, tutto quello che faccio è assumere antispastici, sempre di più e sempre più forti, e sento il cuore che batte a mille, e tremo, nelle membra e di paura.
    Lo so, lo so benissimo che non dovevo illudermi, la diagnosi di carcinoma al pancreas non lascia spazi di speranza né margini di illusione, solo valli di rassegnazione e deserti di paura. Non solo per me, ma anche per chi mi è accanto e mi vuol bene e a cui sono legato, penso a mia madre, la quale se dovessi mancare mi seguirebbe, l’ho capito fin troppo bene, e che non ho mai chiamato ‘mamma’, una parola che non sono riuscito a pronunciare in questi miei non ancora 31 anni di esistenza, insieme a ‘papà’, che non ho mai conosciuto, e penso alla nonna, ai pochi amici veri, sempre presenti e disponibili, e penso a mia sorella, e a qualche altra persona, che avevo accanto e che oggi mi è lontana…
    Ecco, è tutto, prolisso come sempre, scusatemi se volete, buona domenica…
    Alessandro

    1. Ciao Fratellino (non arrabbiarti se ti chiamo così)…è da tanto tempo che aspettavo tue notizie!
      Ho letto MEDICO PSICHIATRA ed ho pensato potessi essere tu,…e così non ho voluto finire di leggere il tuo messaggio solo per offrirti il mio caloroso abbraccio! poi, prima di iniziare a scriverti ho letto la tua firma,…ma ancora non ti ho letto per intero.
      Dai cerca di venire a Roma qualche volta, se puoi;…a me farebbe molto piacere! ciao
      Ora torno su a leggerti!
      intanto…You’re really welcome…in my heart. CIAO

      1. CIAO,…ora ti ho letto…e aggiungo solo un bacio,se vuoi.
        NOTTE CARISSIMO alessandro.
        grazie della tua condivisione,…veramente…vorrei avere l’onore di guardarti negli occhi…perché di onore si tratterebbe,…e se lo vuoi accettare di un sincero,infantile affetto…da parte mia,…ovviamente.
        grazie ancora, ciao…

    2. ….”la fede, credo, conceda la grande ricchezza, l’immenso dono di far vivere tutto ciò con serenità, con meno inquietudine e tormento, e questa è una grande cosa. C’è una certezza nel cuore del credente, non una fiducia ma una certezza, di un approdo diverso, più bello e migliore, fatto di amore puro e infinito. ”
      ti ringrazio alessandro per queste parole di condivisione.
      ti saluto affettuosamente

Lascia un commento

Close