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Cambiare il clima del mondo, inventare il futuro

La rivolta gentile dei giovani

Lo avevo già saputo, che quel venerdì volevano scioperare. Il venerdì 15 marzo di FridayForFuture, il venerdì in cui era fissato un compito di italiano. Pure loro? avevo pensato, e addirittura compatti.

«Professore, le volevamo dire una cosa…» Inizia imbarazzata la rappresentante quando entro in classe. I ragazzi accennano sguardi fra loro, stanno per chiedermi qualcosa che non hanno mai chiesto, nel loro mondo di alunni da sempre inappuntabili stanno per varcare una soglia. E sono decisi a farlo.

Allora mi diverto a guardare i loro volti: c’è un po’ di orgoglio, sottile, di ciò che hanno deciso, si sentono paladini di un grande valore; un po’ di timore, che io ci rimanga male per esser costretto a spostare il compito concordato da settimane a causa di una imprevista assenza di massa; magari reagisco male.

In fondo sono un po’ a disagio lì, in quella zona di semi-clandestinità scolastica, ma più forte è il desiderio di farmi capire che loro ci tengono a scioperare per il clima, lo sentono.

Anzi, finalmente sentono qualcosa. Nel complesso i loro volti sono la fotografia di una cosa che mi va di chiamare ingenuità. E scelgo questa fra le tante cose da raccontare di quei movimenti studenteschi del 15 marzo, perché prima delle parole e degli slogan, a rimanere di quel giorno sono i volti dei ragazzi.

A differenza di altre volte, quel giorno loro c’erano. Con il peso leggero della freschezza e nobiltà d’animo tipiche dei loro slanci (entrambe, freschezza e nobiltà d’animo sono parte del significato di ingenuità). Non erano spiegabili né riducibili alla retorica o all’omologazione di molte adunate giovanili o delle catene social, o all’emotività che spesso, in una comunicazione sociale isterica, li ammassa dietro cartelli e posizioni destinate a sgonfiarsi presto. Non erano quelli dei like, quelli che bruciano storie di un giorno. E non erano nemmeno imprigionabili negli stereotipi accusatori lanciati dai grandi: pupazzi nelle mani di adulti che li usano; gente che sporca le piazze (pare invece che le abbiano lasciate pulite).

Erano invece autentici (ancora, una voce del verbo essere ingenui). Succede quando riescono a bucare quella bolla di inautenticità in cui galleggiamo tutti, noi adulti e loro, e sentono il peso della realtà, anzi, come dice uno di loro, ‘il peso di cambiare il mondo’.

Una cosa che a dirla così può suonare retorica, velleitaria, romantica, ingenua. Chi non ha pensato a quell’età di cambiare il mondo? Eppure questa ingenuità non è un difetto di concretezza, è una virtù: vuol dire presentarsi difronte ad un passaggio della storia senza calcoli, disarmati, con la faccia sorridente e pulita che si ha e dire: Noi ci siamo, e voi?

Del resto, loro che hanno iniziato questa protesta con una ragazzina di 16 anni seduta sulle scale del Parlamento svedese, un cartellone scritto a mano e alcuni volantini stampati a casa e sono diventati un movimento mondiale, loro, non accettano lezioni di concretezza da generazioni di adulti incapaci di cambiare politica e stili di vita difronte ad un’emergenza così grave di cui sono responsabili. L’ingenuità semmai è di chi pensa che le cose vere non attecchiscano e non si diffondano. L’ingenuità è di chi crede che i donchisciotte non cambino il mondo per davvero.

E c’è poi un altro elemento che rende seria e profonda questa rivolta gentile dei giovani: l’appello agli adulti. Futuro è stata una delle parole chiave della protesta: ‘Educhiamoci al futuro’ recitava uno dei loro slogan ufficiali. Ma non hanno rivendicato il futuro come un territorio di loro proprietà, da cui cacciare chi lo sta rovinando. Ci hanno invece posto difronte alle nostre responsabilità e ci hanno detto di agire per ripararle. In pratica ci hanno convocati a costruire il futuro insieme a loro.

È l’aspetto forse più rivoluzionario di tutto l’evento: l’appello rivolto a noi perché torniamo a fare gli adulti. Credo sia evidente, dietro la trasparenza dei volti e degli slogan, il grande punto di domanda che hanno lanciato: dove siete?

È l’occasione ineludibile di rinsaldare il legame generazionale in vista del futuro. Perché il futuro dei giovani lo si costruisce in due, con ruoli diversi.

Creare futuro significa anzitutto dare tempo a qualcuno, dargli ascolto, dargli fiducia» dice L. Manicardi.

Questo è mestiere degli adulti e loro si aspettano che noi lo esercitiamo; non vogliono strapparci il futuro dalle mani, vogliono che noi gliene promettiamo uno e li aiutiamo a costruirlo. Ce lo hanno chiesto con la naturalezza ingenua dei piccoli.

Al termine del discorso della rappresentante c’è stato un attimo di silenzio. Probabilmente non si aspettavano che senza dire altro rispondessi: Non vi preoccupate, il compito lo rimandiamo.

                                                                                                                      Massimo Leone

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