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HANNO RUBATO LA BELLEZZA

Appunti di dolore sportivo

Ci sono dei casi, dei rari casi, in cui non c’è una risposta. Rari casi in cui anche sforzandomi di domandare, non riesco a trovare risposta. Domande del tipo «Perché roviniamo le cose belle?» e che mi fanno sentire l’impotenza dinnanzi al silenzio che scopro dentro di me.

Non voglio drammatizzare troppo; voglio però che queste lettere siano scritte in un ordine stabilito dalla mia pancia, così come fossero appunti di un diario.

Abbiamo rovinato le cose belle, siamo caduti nel vizio tipico di chi diventa fanatico.

Parlo di quello che è successo in questa settimana in Argentina, nella finale della Copa Libertadores. Un evento importante, praticamente leggendario, mai successo nella storia del calcio mondiale: avere nella finale, per l’ultima volta nella storia decretata su una sfida di andata e ritorno, le due squadre di Buenos Aires.

River Plate e Boca Juniors, che di legame con l’Italia se ne intendono, fanno echeggiare i loro nomi nel frastuono creato da gas, vetri rotti, urla, vomito, sirene e lacrimogeni; un frastuono giunto ad ogni telegiornale del mondo, agli occhi di ogni appassionato sportivo, alla sensibilità di ogni governante politico, e sono sicuro, al cuore di ogni tifoso di calcio.

Il paese ha fatto vedere una faccia che nessuno voleva vedere, la faccia di una festa rovinata; di gioia, di emozione, di celebrazione per uno sport meraviglioso… che è diventata violenza, fanatismo e malattia.

Perché roviniamo le cose belle?”

È la domanda che mi continua a trapanare il cervello. Già nel 2015, negli ottavi di finale la tifoseria del Boca aveva rotto le transenne con una saldatrice e aggredito la squadra del River mentre passava nel tunnel che conduce agli spogliatoi con spray urticante.

Sabato 24, la colpevole è stata la tifoseria del River che ha assaltato il pullman del Boca all’arrivo allo stadio, in una maledetta curva, prendendo a sassate i finestrini. La polizia ha lanciato lacrimogeni e gas per sedare la folla, ma intossicando tuttavia gli stessi giocatori presenti sul veicolo. Alcuni di essi sono stati portati all’ospedale e hanno continuato a lanciare pietre anche contro l’ambulanza.

Scene che nessuno avrebbe voluto neanche pensare possibili. Come si può tradire così un sentimento?

È la storia di un sentimento caro a noi argentini: stiamo parlando della musica che sappiamo suonare meglio, della poesia che nel modo migliore sappiamo scrivere, del gioco più bello che siamo capaci di giocare, rovinato, sfregiato, umiliato così…

Siamo arrabbiati perché tutto questo non riguarda una partita di calcio: riguarda la storia di un’intera nazione, di un popolo sentimentale abituato a vivere appunto il genuino sentimento che diventa passione, emozione e meraviglia.

Hanno rubato la bellezza, hanno sporcato il nostro cuore.

Laddove facevamo entrare il desiderio, la grinta, la voglia di lottare, con i piedi, per dare una soddisfazione al nostro pubblico, laddove facevamo entrare l’entusiasmo della vittoria o l’orgoglio anche davanti alla sconfitta, il leale rispetto per l’avversario, lo stupore di un risultato inaspettato, abbiamo fatto entrare dei ladri che ci hanno portato via la spontaneità e la genuinità del nostro modo di viverlo e che ci hanno macchiato con l’arroganza, con il fanatismo, con la violenza, con l’ignoranza di chi rovina le cose belle, come quando una mamma nasconde i petardi addosso alla figlia di 5 anni per superare i controlli di sicurezza ed entrare al Monumental.

Tristezza. Sapore amaro.

Non è il calcio, non è il nostro calcio, non ha niente a che fare con questo… Non è follia.

Lo dico così, da argentino appassionato. È vero, ero bambino quando ho lasciato il mio paese per venire in Italia e non ho grossi ricordi di quella infanzia, eppure sento nelle vene l’appartenenza alla terra, non riesco ad evitare il richiamo delle mie radici, non riesco a sentirmi diverso dalla mia nazionalità, non ce la faccio a chiudere gli occhi e non pensare che nel posto da cui vengo qualcuno abbia rubato la bellezza, l’abbia trasformata in una vergogna mondiale. E mi domando ancora «Perché roviniamo le cose belle?».

Il fenomeno delle Barra Bravas, quel gruppo di tifosi violenti che negli anni hanno rovesciato la passione in malattia, che hanno conquistato le curve degli stadi quasi come un piccolo esercito trasformando lo spettacolo in delirio, che hanno ottenuto potere e collezionato morti, anche questa volta ha messo odio là dove ci doveva essere amore. L’amore per uno sport, per un sentimento comune.

Ma non è così! L’essere umano non è questo! È capace di amare, di godere per le conquiste di un altro, di rispettare chi è diverso, di divertirsi con spensieratezza e sentirsi partecipe dello stesso spettacolo, dello stesso show, di saper ringraziare l’avversario per averlo stimolato a fare meglio, di imparare dai propri errori e correggersi sempre, di essere fedele ai suoi valori e di scegliere il bene.

La pioggia aveva già fatto rinviare la partita di andata, dentro una suggestione simile ad un racconto leggendario; ora una pioggia di pietre ha fermato quella di ritorno.

Giorni di denunce, proteste e chiarimenti, fino a quando è stato deciso che la partita si giocherà a Madrid, al Santiago Bernabeu. Ecco l’ennesimo furto, quello di non poter vedere nella tua terra la finale del tuo torneo. È la coppa “Libertadores” di America… giocherà la finale nella terra dei suoi “Conquistadores”. Semplicemente ironico!

In mezzo a tutto questo caos c’erano 66.000 tifosi che hanno aspettato una vita per vedere una finale così, irripetibile. Padri di famiglia, lavoratori, gente semplice, famiglie e chissà chi altro, che hanno fatto chilometri di strada per giungere a Buenos Aires e fare ore di fila per entrare allo stadio sabato e talmente emozionati di assistere ad una finale così da tornare il giorno dopo. E adesso non possono viaggiare fino in Spagna, non possono permettersi di pagare un volo e andare a 10.000 km di distanza per vedere la loro squadra, per essere la voce positiva, appassionata che si merita una partita di calcio, per tifare i propri colori. Non possono.

E così, ci hanno rubato la bellezza e ci hanno rubato anche la possibilità di esserci.

Quasi come se non fossimo più capaci di accogliere l’altro, come se ci fossimo dimenticati qual era il senso della competizione. Come se avessimo smesso di portare rispetto nella rivalità, di stringere la mano all’avversario, di applaudire perché in fin dei conti, vittoriosi o meno, abbiamo fatto parte di uno spettacolo unico, di un’emozione, di un senso di appartenenza, di un sentimento radicato.

Ma non ruberanno la passione, non credo. Credo che sarà sempre parte di noi, di una forma di vivere, di un modo di stare al mondo tipico di chi ha queste origini. Tipico di chi sa che la vita si può guardare da punti di vista diversi e si può scegliere di viverla nel modo migliore.

Allora voglio anch’io vedere la vita con un punto di vista preciso, quello che non si ferma al male, che non vuole dargli alimento, che gli piace credere al bene. Gli piace credere che il bene è sempre più forte del male, che l’amore vince sulla paura, che l’emozione sconfigge l’indifferenza, che la passione vince la malattia.

E nel mio caso personale, c’è stato Qualcuno che me l’ha insegnato.

E adesso che mi ridomando: «Perché roviniamo le cose belle?». Mi accorgo con più chiarezza che ci sono delle bellezze che non possono mai essere rovinate e che sopravvivranno sempre: l’amore, la passione, il sentimento, la cultura di un popolo, il suo modo di stare al mondo… Cose che resteranno sempre salde anche se tutto intorno crolla, che non saranno dimenticate e che diranno qualcosa di noi a chi arriverà dopo.

David Martinez

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