Pensieri e RiflessioniVolontariato

Sabato mattina: la mia vita su un tapis roulant

Sabato mattina, la giornata si prospetta meno frenetica; siamo nel weekend. Bello perché il primo pensiero è positivo: «Ho un po’ di tempo per me». Nella mia mente pianifico: colazione al bar, tappa dal barbiere per sistemare la barba, riassetto della stanza, aperitivo con alcuni e tappa in palestra. Strano, per me, il pianificare l’attività sportiva, ma da quando vivo in Comunità alcuni pensieri sono diventati normalità e si sono trasformati in atti concreti.

Tuta, maglietta, scarpe adatte e bottiglia d’acqua. Rido tra me e me in questa veste ancora nuova per le mie abitudini. Scendo a piedi le scale ed entro nella stanza attrezzata al movimento. Accendo l’apparecchio che prediligo, soprattutto perché ritengo il più abbordabile: il tapis roulant.

Questa volta è diverso perché ad ogni passo, il movimento ritmato e sempre uguale per velocità ed inclinazione, ma soprattutto lo sguardo rivolto al muro, mi mettono in crisi. Inutile tentare con la musica, il chiacchierare con chi è lì con me, il fermarsi per bere un sorso d’acqua per cercare di distrarmi.

Anche questa volta è diverso da altre inquietudini perché nasce dentro, in mezzo al petto, una sensazione strana da definire e nominare.

Ma cosa c’è adesso, ancora? Eppure l’inquietudine non inganna, di qualche cosa si tratta.

Il Cuore chiede: «Ma dove stai andando?». E mentre trafelato cammino a velocità sostenuta e ritmata dal meccanismo, quasi una corsa, devo considerare che forse la mia vita, in questo momento, è come quest’attività: cammino, mi affanno, sudo, ma mi ritrovo sempre nello stesso punto, sempre con la stessa visuale e vista.

La mia vita è così come su un tapis roulant: mi affanno, mi agito, macino chilometri, misuro i battiti, ma sono sempre lì nello stesso punto. Impossibile!

Se all’inizio ho tentato di rispondere alle domande «chi sei e cosa vuoi» adesso ne sorge una terza che non si può disgiungere dalle altre: «Dove vai?».

Andare implica azione, movimento e riflessione. Questo non mi è mai mancato. Ma andare verso dove? Dirigersi e prendere una strada e percorrerla fino in fondo. Questo mi manca: una meta.

Cosa trovo dietro ad ogni passo o gesto compiuti, non solo fisicamente, ma dentro di me?  Trovo un cuore in inverno; un cuore immobile all’apparenza. Un cuore che ha deciso di ibernare i sentimenti vissuti, ha rinunciato ad andare, un cuore fermo che si ritrae.

Eppure questo Cuore non è morto perché ascolta il sussurro del desiderio, reclama il gelo e l’immobilità in cui è costretto, un cuore che più volte è diventato sorgente e via di uscita d’acqua limpida e buona per sé e per altri.

Come dare una risposta? Forse la soluzione sarà cercare un nuovo luogo fisico dove poter trovare il caldo abbraccio che genera, motiva ed indica, ma non mi convince perché se dovessi raccontare, per intero, la storia del mio ricercare, risulterebbe evidente a tutti quanti che si ripete lo stesso cliché bello ed interessante, ma che cerca dall’esterno la motivazione.

Forse è liberando il cuore al suo interno da inganni e paure, abbandonando le redini ed abbassando le difese; non cercando più di selezionare sentimenti ed emozioni che permetto di creare quella fenditura nella roccia che fa sgorgare quell’acqua che è fonte di vita, e l’acqua stessa, sgorgando, indica e traccia una strada, un sentiero, una via e un percorso.

Seguendo questo percorso, seguendo cioè quello che il cuore cerca veramente, probabilmente fermerò questo tapis roulant ed inizierò a camminare su quel sentiero che porta ad una meta ed in mezzo a mille ostacoli riuscirò a dire, a testa alta, che vado verso il mare.

Fabrizio Z.

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