Di recente, ha stimolato la mia riflessione il film di Alfonso Cuaròn,“I figli degli uomini”, ispirato all’omonimo romanzo.
Che cosa succederebbe se gli esseri umani non riuscissero più ad avere figli? Se le donne fossero sterili? Se il mondo finisse per mancanza di bambini?
In un futuro distopico non molto lontano, il mondo è in crisi perché la specie umana non riesce più a partorire. Il mondo invecchia, e con lui anche la speranza di avere un futuro. Non ci sono più bambini.
Non esistono. Il cittadino più giovane del mondo muore a 18 anni. L’Inghilterra è l’unica zona difesa dalle guerriglie urbane in tutto il mondo e gli immigrati si spostano da un paese all’altro illegalmente, perseguiti dai governi. Tutti vivono un senso di maledizione, di sconfitta, che penetra anche nei colori grigi e polverosi delle scene e nella crudezza delle immagini che rappresentano un mondo disperato, sterile, ostile, dove la vita muore.
Il caso e la fede dialogano apertamente: apparentemente il “caso” ha vinto, ha decretato la sua sentenza sull’Universo senza logica, schiacciando la “fede” di ogni uomo, ormai arreso all’estinzione della sua specie. Il caso travestito da una pandemica sterilità globale ha vinto sulla fede in un futuro possibile.
Però Theo, ex-attivista politico, viene contattato da un gruppo terroristico che difende i diritti degli immigrati per chiedergli un permesso di transito: c’è una giovane ragazza immigrata di nome Kee che deve raggiungere un santuario sulla costa, sede di quel gruppo di menti raffinate che lavorano per la ricostruzione di una società nuova.
E perché ci deve andare?
Perchè Kee è incinta. L’unica donna incinta al mondo.
Quante volte mi sono accartocciato in situazioni sbagliate e nelle dipendenze che hanno neutralizzato la mia libertà? Quali sono gli atteggiamenti che mi spengono la vita?
Kee è l’esempio di come la vita resiste, rinasce continuamente e ci sorprende. Da adesso la fede capovolge il caso.
“Il tuo bambino è il miracolo che tutto il mondo aspetta”
Un miracolo. Voi credete nei miracoli?
La mia vita è un miracolo. Prima non riuscivo a capirlo, pensavo che ero libero di fare quello che voglio quando voglio e che ero padrone di tutto. Pensavo che alla fine tutto muore, tutto passa (basti sentire le notizie dei telegiornali) e non c’erano vie d’uscita per questo mondo marcio… ma poi ho scoperto una nuova vita che non mi aspettavo: una vita ostinata e testarda, che non si ferma mai e combatte e che anche quando ho avuto il pensiero di sopprimerla c’è sempre stata una luce che in fondo non si è mai spenta.
Per tutto il film si udranno solo suoni di morte, di spari, esplosioni, grida, pianti, crolli. I colori sono freddi, tristi, piatti. Le immagini di cadaveri e feriti, profughi affamati, sangue, edifici distrutti e la narrazione che si sviluppa in una spirale di violenze e tradimenti fanno da contorno ad un’unica nota positiva.
Sì perché alla fine, nelle ultime scene, ci accompagna il pianto di una bambina: è il pianto della figlia di Kee che nasce in mezzo alle macerie,
è il suono della vita, è il segno che la vita non si era davvero fermata, neanche in mezzo alle macerie della morte.
Una parabola sul valore di essere vivi e sulla bellezza di avere giorni.
La figlia di Kee rappresenta una rinascita: è la rinascita del genere umano, è la rinascita di noi stessi.
Forse provochiamo sterilità quando corriamo dietro agli impegni di lavoro, alle paranoie, all’ansia di dover produrre, quando ci perdiamo in pensieri tristi, in vicoli ciechi, in ricordi dolorosi, nell’insicurezza di un futuro ancora da costruire. Forse cambiare il nostro stile di vita, fermarci, e cercare di ricostruire noi stessi è il modo migliore di combattere la morte.
Alla fine del film, Theo e Kee escono da un edificio bombardato con la bambina in braccio, circondati dai soldati armati che si inginocchiano davanti a quella meravigliosa e piccola creatura. È un’immagine forte, ci dice che
anche la morte si inginocchia di fronte alla vita.
La nave del Progetto Umano che salverà Kee e la sua bambina si chiama Tomorrow, cioè “Domani”.
Forse è il primo piano di una bella notizia: che il nostro domani ci aspetta, che il nostro domani possiamo costruirlo e ricostruirlo continuamente, che il domani sarà bellissimo se ci crediamo perché la fede è più grande di tutto e ci dà la forza, e che tutti possiamo farcela.. perchè anche quando la testa pensa al distopico fine della razza in fondo, il cuore ci crede che il futuro c’è.
David Martìnez