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La rosa nel deserto

..racconti da una missione in Brasile..

Il primo giorno che arrivammo a Quixadà i bambini ci accolsero calorosamente, sorridenti, con i loro disegni di benvenuto in mano.
Grazila mi donò un’immagine piena di cuori e allegria, ripiegata in un foglio di quadernone approntato “a busta chiusa”, piena di fiori sorridenti e, ancora, tanti cuori!  Mi fece sentire scelta e attesa, ed ero felice di stare lì! 

Subito dopo eravamo tutti in una stanza, i bimbi ci attorniavano, e si alternavano per ricevere, a loro volta, i disegni da colorare che ci commissionavano all’istante. Si avvicinò Giulio, con i suoi occhioni grandi e il sorriso splendente.

Giulio mi entrò nel cuore, perché, a differenza degli altri bambini, non mi chiese né un disegno qualsiasi da colorare, né mi portò un’immagine da ricopiare. Lui mi disse:

“insegnami a disegnare, insegnami come si disegna una rosa”.

Notai dal suo quaderno che era già molto bravo in disegno, era portato… eppure mi chiese “insegnami”. Percepii all’istante che voleva qualcosa di più, che mi coinvolgeva in una relazione più impegnativa e profonda… Nei suoi occhi c’era il desiderio di imparare, di essere seguito, di crescere, di coltivare i suoi talenti, oltre che l’aspettativa di chi ti dava credito, ti riponeva fiducia, e che attendeva una risposta. Lui mi guardò fisso, ed in quel momento, per la prima volta, sperimentai un senso di impotenza e di inadeguatezza nei confronti di un bambino che giocava.

Pensai dentro di me “ma io devo ripartire…come posso essere la tua insegnante, come posso prendermi cura di te?”…

Presi fiato e sorridendo gli domandai: “c’è una rosa qui?”. Mi guardai intorno e realizzai che lì non c’erano rose, lì c’era il deserto. Nel mio cuore mi sentii ancora più in difficoltà, perché Giulio non solo mi aveva chiesto “insegnami” ma addirittura “insegnami come si disegna una rosa”, proprio il fiore che lì non cresceva! Amava e desiderava qualcosa che lì non c’era! E lo desiderava da me! E le mie mani erano vuote. Così, timidamente, iniziai a immaginare una rosa per Giulio e a disegnarla. In quel momento capii che Giulio aveva la dote di guardare oltre l’apparenza, di sentire il profumo di un fiore che non si vede, di percepire la delicatezza e il velluto di petali che non si toccano, di godere di una bellezza che non va posseduta, di esprimere con purezza e semplicità un sogno, un desiderio. 

Ma aveva anche l’umiltà di chi sa mettersi in ascolto, di chi sa custodire un insegnamento, di chi sa riconoscere l’altro e dargli fiducia, seppure diverso.  Constatai quanto “l’essenziale è invisibile agli occhi”, e, in punta di piedi, cercai indegnamente di assecondare Giulio col mio disegno. 

Quanta ricchezza, speranza, gratitudine e libertà in un “meninos de rua”, un ragazzo di strada, piccolo, povero, abusato, delle favelas! 

L’animo nobile di un bambino è la vera rosa nel deserto, è la melodia che irrompe nel silenzio della sabbia. 

E sprona e insegna a ognuno di noi che, seppur fatichiamo a sbocciare perché deboli, inquinati e corrotti, possiamo almeno farci piccoli petali profumati….

Petali che solo nell’unità, uno attaccato all’altro, possono costituirsi “rosa nel deserto”, in quanto petali di carne che hanno accolto la “voce di uno che grida nel deserto”!

Figli degni di quella Rosa Mistica che, nel deserto di Quixadà, è pregata e invocata quale “Reina do sertao” (Regina del deserto). 

Federica Bracaglia

                                                                                                                                         

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