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La mia velleità di eroe…

..racconti da una missione in Brasile..

Col tempo ho imparato che il Signore mette nei nostri cuori semi invisibili che sta a noi saper cogliere ed annaffiare.

Così, quando seppi dell’opportunità di fare questa esperienza indimenticabile in Brasile, con la Comunità di Nuovi Orizzonti qualche tempo fa, qualcosa dentro di me mi disse che ci dovevo assolutamente andare. Non era scontato che sarei stato tra i pochi fortunati a partire, ma si vede che qualcuno lassù stava già tessendo la sua trama.

Così arrivò il tanto atteso giorno della partenza.

Non vedevo l’ora di partire perché, in quel momento, desideravo solo scappare. Mi illudevo che, immergendomi nella missione, mi sarei lasciato alle spalle una situazione che mi stava struggendo l’anima.

Appunto, mi illudevo! A ben riflettere, avrei dovuto comprenderlo già quando, il giorno prima di partire, don Alex Gatti, il responsabile della missione,

ci disse che non eravamo chiamati lì a salvare vite o fare chissà quali epiche imprese. Noi andavamo lì semplicemente per “STARE”.

Così le mie velleità di eroe che sperava di salvare tante piccole vite innocenti, allungando magari le braccia da una jeep in corsa per afferrare corpicini indifesi e portarli in salvo da questo mondo crudele, vennero subito vanificate da quelle lapalissiane parole evangeliche:

Siamo servi inutili“.

Mamma che tramvata! E ora come farò a non pensare? – mi dissi tra me e me… Ma il bello di Dio è che non smette mai di stupirti.

Giunto a Quixadá, ero infatti all’apice della sofferenza e lì non mi rimase altro che affidarmi a Dio.

Mi affidai ed affidai ogni cosa al Signore, con tutto il cuore, e scelsi di vivermi, fino in fondo, quell’esperienza irripetibile, ricordando le parole del sacerdote che mi aveva detto che ero lì perché il Signore desiderava parlare al mio cuore.

Fu proprio in conseguenza di quel “SI” incondizionato a quella richiesta di “stare” che qualcosa di incredibile accadde.

Tutta la mia ansia ed il mio malessere sparirono come d’incanto! E così capii che a Dio veramente nulla è impossibile. Fu in quel momento, quindi, che ebbe inizio la mia avventura in Brasile.

Non vedevo l’ora di meditare, ogni mattina, la Parola del Signore con i ragazzi del programma di recupero, di prendere il corpo di Cristo e di contemplare l’Amore del Padre in cappellina.

In ognuno di quei ragazzi vedevo Gesù.

In quei volti segnati da cicatrici profonde che lasciavano intravedere trascorsi infernali, ho riconosciuto le mani ed i piedi lacerati di Cristo risorto. Pur non potendo comunicare molto per via della lingua, ci intendevamo benissimo con gli sguardi. Era un sentirsi un tutt’uno: eravamo una vera comunità.

E poi c’erano i bambini della casetta.

Non potrò mai dimenticare quei momenti passati con loro a disegnare e a fare giochi semplici che facevo da bambino. Eh sì, ero proprio tornato bambino come loro ed in quelle anime innocenti ho riscoperto l’essenziale della vita: la semplicità!

E poi, come dimenticare quelle visite nelle favelas dove la tanta miseria era direttamente proporzionale alla ricchezza d’animo e la dignità di quelle umili persone. Quelle laceranti storie ci facevano comprendere quanto siamo fortunati e non sappiamo apprezzarlo. Persone animate da una fede molto più autentica di tanti presunti cristiani che frequentano le nostre parrocchie e che mi hanno ricordato le parole di Gesù quando disse: “Padre, hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt11,25). Persone a cui, più del pacco alimentare che gli fornivamo, interessava soprattutto la nostra presenza, il nostro “stare” con loro.

Devono aver senz’altro intuito questo, Dana, Francesca, Liliana, Biagio e tutti gli altri missionari di Nuovi Orizzonti quando hanno scelto di “restare” in quelle terre e mettersi al servizio di Dio, glorificandolo con le proprie vite!

E poi una Domenica, eravamo tutti riuniti nella cappella per la Santa Messa e lì qualcosa di straordinario accadde in me. Un grande tuffo al cuore mi provocò un susseguirsi di emozioni incredibili che esplosero in un pianto incontenibile. Lì, abbracciato dal piccolo David, il figlioletto di Biagio, mi sono sentito invaso da un Amore così immenso che era impossibile contenere. Non dimenticherò mai più quel bacio di Dio!

Tornati in Italia, dopo quella esperienza meravigliosa vissuta, avevamo tutti una consapevolezza comune: i veri poveri siamo noi!

Ma come vi dicevo all’inizio di questa storia, il Signore pianta in noi semi invisibili che poi germogliano, se scegliamo di dire “SI” a quella richiesta di apertura del nostro cuore.

Ebbene, tornato in Italia ebbi subito la sensazione che qualcosa nella mia vita era cambiato. Casa mia non era più casa mia ed era una sensazione tanto strana, quanto sgradevole.

Fu così che cominciai a comprendere ciò che il Signore mi voleva dire, anche attraverso quell’esperienza straordinaria vissuta quella Domenica in quella cappella a Quixadá.

Dopo un attento discernimento, ho finalmente compreso che il Signore, da tempo, mi chiedeva proprio di fare un’esperienza di vita comunitaria. E così, lottando dannatamente contro le enormi resistenze della mia razionalità, ho trovato il coraggio di dire di “SI” a quella insistente chiamata d’amore.

Ringrazio tutti quelli che mi hanno donato amore in questa indimenticabile esperienza, ed in particolare, don Alex per la sua simpatia e fede profonda, i compagni di missione per la loro autentica amicizia, i missionari in Brasile per il loro “SI” incondizionato alla chiamata di Dio e soprattutto il Brasile che mi ha fatto assaggiare cosa è la vita vera.

Vi tengo tutti nel cuore.

Francesco Sequino

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