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La rivoluzione normale della scuola

Piovono da mesi domande e idee sul dopo, che intanto è diventato un ‘durante’. Nei tempi incerti del lockdown si faceva sempre più netta la percezione di un inesorabile cambiamento delle cose, e di essere più o meno obbligati a partecipare alla fondazione di un mondo seminuovo; adesso siamo tutti convinti di dover cominciare già ora, con il coronavirus ancora in circolazione non sappiamo per quanto. E cerchiamo strade, bussole, segnali che ci aiutino ad orientarci fra i chi saremo, chi vogliamo essere, chi saremo costretti ad essere, cosa dovremo costruire.

Naturalmente sotto il diluvio delle opinioni pubbliche è finita la scuola, già di suo pandemicamente accompagnata da istanze di cambiamento e dibattiti mai domi, purtroppo afflitti da nugoli di retorica, in cui la riflessione si riduce a polarità insensate come conoscenze vs. competenze, libri vs. materiali digitali, entrambe sussunte poi dal classico innovazione vs. tradizione. Ecco, questo sarebbe davvero il primo cambiamento da sperare per la scuola:

se non un dialogo rinnovato, perlomeno l’abbandono di formule e lessico logori e di feroci luoghi comuni, che alzano muri fra concetti, esperienze, proposte e persone che lungi dall’essere in contrasto, sono lì per integrarsi.

Ma intanto è vero che la scuola, forse più di ogni altra cosa passata al setaccio del Covid, ha la necessità e l’obbligo di cambiare. Deve certamente cambiare sistemicamente, dai curricoli allo status degli insegnanti per fare alcuni esempi, se vuole essere un luogo e un percorso significativo per i ragazzi nel mondo complesso (evito fin quando si può di dire ‘innovare’, per non evocare indirettamente le battaglie di cui sopra); e deve anche cambiare logisticamente, in fretta, se vuole ripartire a settembre: spazi, orari, durata delle lezioni, sedie e banchi, modalità in presenza e a distanza. Tralasciando entrambi questi poli del discorso, i massimi sistemi e il piano ripartenza, che richiederebbero, l’uno e l’altro per ragioni diverse, troppo tempo, mi concentro su alcuni strumenti utili per una rivoluzione normale, quasi banale della scuola, quella che tutti abbiamo in tasca, radicale e facile da attuare da settembre per rispondere alle necessità di cambiamento, lontano dalla retorica mediatica e senza il supporto necessario del legislatore.

1- E, per favore, per una volta, non mettiamoci nulla davanti:

un’idea di scuola, una visione.

All’ombra delle riforme seriali di questi anni, gli istituti traboccano lodevolmente di attività, progetti, programmazioni piene di obiettivi, formativi, disciplinari, trasversali, ma le une e gli altri mancano di riferirsi ad un’idea complessiva, progettuale, valoriale. È quella che dice che scuola vuoi essere lì in quella comunità e per il suo futuro. Quella scritta un po’ nell’origine e nella storia di ogni istituto, un po’ nello slancio, un po’ nell’analisi dei bisogni formativi, un po’ nell’immaginazione. L’assenza di questa prospettiva ha conseguenze molto diffuse e facilmente nominabili: molteplicità di progetti tutti significativi tutti pieni di obiettivi, ma poco integrati con ciò che si fa in classe ogni giorno; scarsa attitudine a monitorare, misurare e valutare ciò che si fa, come se l’educazione fosse un processo generico e spontaneo; individualismo e scarsa capacità di lavorare insieme; e ci metto pure una limitata creatività didattica, che vale anche per ciò che diremo sotto sugli spazi, perché la mancanza di una visione alta induce più a ripetere meccanismi consolidati che a cercare soluzioni nuove. Sono, queste e altre, tutte cose che non si possono fare, perlomeno consapevolmente, senza una visione comune di scuola, condivisa da tutti.

2- I contenuti. Vittime sacrificali di discussioni sclerotiche, sono finiti spesso dietro la lavagna o comunque lontano dai riflettori riservati a competenze e processi. Presupponendo che conoscenze e competenze sono due risultati dell’apprendimento che si alimentano reciprocamente, va detto che probabilmente la chiave oggi sono proprio i contenuti. In questo senso: la sfida della scuola è la complessità, educare cittadini di un mondo sovraccarico di informazioni; in cui i contenuti sono reperibili e vengono prodotti molto facilmente; in cui è difficile invece mettere insieme i pezzi e superare la frammentazione.

Per questo la scuola ha bisogno di profondità. Non di sterili quantità, ma di un sapere approfondito, che si guadagna con l’esperienza della profondità e la capacità di andare a fondo nelle questioni e nei contenuti.

Parliamo, si badi, tanto del cosa che del come si insegna, di scegliere ad esempio i contenuti, senza sindromi di accumulo, come nodi nelle programmazioni, colti nella loro naturale trasversalità, così come di metodi e strumenti che permettono la loro scomposizione e ricomposizione in significative sintesi personali, una varietà di soluzioni che dalla lezione frontale va all’uso delle tecnologie. Parliamo di conoscenze ma anche di competenze, che sono contenuti imprescindibili essi stessi: saper parlare è conoscenza o competenza? O entrambe le cose? Sì, la scuola del dopo ha bisogno di essere alta e difficile, scientifica, non astrusa e sovraccarica, allenante per il mondo complesso, un antidoto alla superficialità culturale dilagante

3- Citare gli spazi ci fa venire in mente una cosa che sappiamo tutti:

la scuola è un luogo fatto di tanti luoghi, può essere molto vario, mentre nell’esperienza comune si riduce a poco più dell’aula.

Riflessione fresca fresca del resto, considerando gli spazi virtuali in cui siamo andati a scuola negli ultimi mesi. (Bypasso i proclami non richiesti di chi ribadisce l’ovvia conclusione che la scuola in presenza non può essere sostituita, segnalando come lo spazio digitale possa essere una risorsa e utilmente integrare e allargare i luoghi della scuola). A nome di tutti, ma non in nome dell’<attivitarismo> che spinge le classi fuori dalle aule di progetto in progetto perché la scuola ‘non è solo in aula’, cito un luogo che può ospitare e suscitare esperienze significative di didattica, modificandone la geografia d’istituto: la biblioteca scolastica.

4- Arriviamo al cuore. L’apprendimento e la crescita dei piccoli avvengono principalmente all’interno di relazioni educative.

Fare scuola è anzitutto una forma di relazione umana.

Allora indico con una parola la qualità e la cura dei vari tipi di relazione che s’intrecciano nell’esperienza scolastica, a partire da quella centrale docente-alunno, la necessità di formarsi e di formare ad esse: la rivoluzione che auspichiamo deve avere il timbro della gentilezza, cioè di relazioni distese e feconde secondo le caratteristiche delle singole attività.

La gentilezza tesse una comunità in cui si sta bene. E qui poi metteteci dentro i lavori cooperativi, il far parte di squadre, la vita di classe, le relazioni istituzionali e non dimenticate che i docenti lavorano molto meglio se lavorano insieme.

In questi giorni in tutte le scuole si lavora febbrilmente per garantire nel miglior modo possibile la ripartenza in presenza del nuovo anno scolastico, cosa che sancirà più di tutto l’auspicato ritorno alla normalità. Molte incertezze, sanitarie, politiche ed istituzionali, annebbiano questa speranza e possono pesare significativamente sulla realizzazione di quanto deciso. Ma la scuola del dopo lì, davanti a noi, possiamo iniziare a costruirla: attende di ricevere una forma.

Massimo Leone

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