Attualità
Che fatica a diventare ‘immigrato’…
Alessandro De Franceschi è riuscito a partire come volontario ‘immigrato’ in Brasile – nelle missioni di Nuovi Orizzonti – dopo un’estenuante battaglia per poter ottenere i documenti necessari…
Ci ha riassunto questa sua incredibile e faticosa esperienza da un insolito punto di vista: non tanto di chi dai paesi del terzo mondo vuole arrivare in quelli del primo mondo, ma di chi dai paesi ricchi vuole andare in quelli poveri. I disagi sono gli stessi!
Ciò che resiste negli imprevisti della trafila è un sogno, un desiderio: “O siamo noi a cambiare il corso della storia / o sarà la storia a cambiare noi”, (parole proiettate sullo schermo al termine del film ‘Il villaggio di cartone’ di Ermanno Olmi)
Grazie, Alessandro, di averci ricordato che “quando la carità è un rischio, quello è il momento della carità” (dal film ‘Il villaggio di cartone’)!
“Questa è la storia di un immigrato. Di uno, come tanti, che ha deciso di seguire un sogno, un desiderio.
Un giorno, dopo aver consultato in rete i documenti da presentare al consolato del paese nel quale voleva andare, preparata una bella cartellina nuova, semitrasparente per l’occasione, inserito tutto il malloppo, prende il treno. Arrivato nella città si incontra con un traduttore ufficiale, lo paga. Insieme si recano al tribunale per la legalizzazione. Paga la legalizzazione. Si reca al consolato, finalmente. Aspetta il suo turno. Respinto.
Una parola sbagliata. Niente di offensivo, intendiamoci. Semplicemente significato diverso.
Torna a casa. Prepara il documento, rivisto e corretto. Passano dei giorni. Prende il treno. Arriva al consolato.
Respinto. Altri documenti, nel frattempo, erano scaduti. Come la mozzarella. Durata breve, gusto intenso.
Passano giorni, prepara i documenti. Arriva al consolato. Respinto. Un documento va autenticato al consolato dello stesso paese nel quale il nostro immigrato vuole recarsi, ma che si trova in un’altra città. Problemi di giurisdizione.
Treno andata e treno ritorno, in mezzo dei giorni, e la paura della breve scadenza di tutto ciò che lo riguarda.
Consolato 4.0. Domanda di visto accolta. Non resta che aspettare. Quarantacinque giorni, si manda una mail, si attende la risposta, si torna al consolato.
Dovrebbe essere semplice. Consegna passaporto. Biglietto d’andata e prenotazione ritorno. Pagare gli oneri.
Sbagliato. C’è la fila. Non si arriva allo sportello. Non oggi. Oggi, signori solo cinque. Grazie. Scusate il disagio, sapete console in sciopero. Tornate domani.
Si torna. Film già visto. Oggi solo nove. Scusate.
Cartoni per terra, si dorme lì davanti. Sì, signora, sono qui per il consolato. Eh sì, sarò il numero uno domani. Buonanotte.
Consegnato. Pagato. Torni tra una settimana. Poi può partire.
Cinque mesi, sei viaggi al consolato. Soldi.
E il nostro immigrato non stava scappando da una guerra. Né tanto meno da una terra da cui si ricava solo sete e fame.
Io ci penso a quelli in barcone, mi sento molto vicino ai loro cuori.
Vi ho raccontato la mia storia.
Mi permetto un consiglio: guardatevi di Ermanno Olmi “Il villaggio di cartone“.