Attualità
Seminatore e samaritano…dopo un anno!
Ho sempre bisogno di riflettere e trovare una sintesi degli avvenimenti che mi circondano e che mi colpiscono di più. Era evidente che i commenti riguardanti il primo anno di pontificato di Francesco sono stati super abbondanti e di tutti i tipi. Alla mia piccola ricerca di riflessione mi è venuta incontro una sintesi elaborata da ‘La civiltà cattolica’ (n 3930 – pp. 553-559) e mi è così piaciuta che desidero offrirla anche a voi per un confronto personale.
L’articolo parla di 7 tratti che caratterizzano il pontificato di papa Francesco nel suo primo anno si servizio alla Chiesa. Sono importanti da tener presenti perché corrispondono alla fisionomia che il papa fa di se stesso ma soprattutto sono il quadro di riferimento di chi guida la sua chiesa e in ultima analisi di ogni discepola e discepolo di Gesù.
Ve li offro ridotti in una scarna sintesi fatta liberamente da me. Ma vi rimando a leggerli integralmente!
Un pontificato «profetico». Per Papa Francesco questa deve essere la Chiesa! Una «Chiesa samaritana»; una Chiesa che è «ospedale da campo»; una Chiesa che è «casa per tutti», come ha ribadito più volte a Rio de Janeiro ai giovani riuniti per la loro Giornata Mondiale.
Un pontificato di incontro. Il Papa non «comunica», cioè non trasmette messaggi che poi gli altri devono semplicemente ascoltare, ma tende a creare «eventi comunicativi», nei quali, quando e come può, tende a coinvolgere attivamente chi ha con sé o davanti a sé. La chiave di questo atteggiamento comunicativo è l’umiltà, che è l’atteggiamento di colui che sa avvicinarsi bene agli altri. La «cultura dell’incontro» e della prossimità sviluppa una gestione dell’autorevolezza per cui più si è percepiti distanti meno si è autorevoli. In questo senso il Papa pone una sfida alla percezione comune dell’autorità declinata in termini di separazione. Questa cultura ha la sua base nella disponibilità a ricevere (e non solamente a donare).
Un pontificato «drammatico». Il Papa ha una visione agonistica della realtà. Questa drammaticità gli deriva da sant’Ignazio di Loyola e dai suoi Esercizi Spirituali. Nella meditazione «sulle due bandiere» (Es. Sp. 136-148), Ignazio raffigura un campo di battaglia nel quale si confrontano «Cristo, nostro sommo capitano e signore» e «Lucifero, nemico mortale della nostra natura umana». Per Bergoglio c’è una inevitabile dimensione di belligeranza nel modus vivendi cristiano. La vita cristiana è una lotta, insomma. E la sua lotta è sempre consolata dalla certezza che il Signore ha l’ultima parola sulla vita del mondo: Lui è sempre presente nella nostra storia, che non è abbandonata a se stessa. La Chiesa è sì ospedale da campo di battaglia, ma il suo primo compito «samaritano» è versare olio sulle ferite: il resto viene dopo.
Un pontificato di discernimento. Il pontificato di Papa Francesco ha nel discernimento il cuore della sua proiezione nella storia. È il discernimento ignaziano: sebbene esso si compia nell’ambito del cuore, dell’interiorità, la sua materia prima è sempre l’eco che la realtà quotidiana riverbera in quell’intimità. È un atteggiamento interiore che spinge a essere aperti a trovare Dio dovunque egli si faccia trovare, e non solamente in perimetri ben definiti. Soprattutto non teme l’ambiguità della vita e l’affronta con coraggio. Il modo ordinario del papa di prendere decisioni è quello che Ignazio di Loyola chiama il «secondo tempo», cioè «quando si acquista molta chiarezza e conoscenza mediante l’esperienza di consolazioni e desolazioni, e per esperienza del discernimento dei vari spiriti» (Es. Sp. 176).Le azioni e le decisioni vanno radicate nel profondo e devono essere accompagnate da una lettura attenta, meditativa, orante, dei segni dei tempi, i quali sono dovunque: da un grande evento alla lettera di un fedele qualsiasi.
Un pontificato dal «pensiero incompleto». Essere uomini di discernimento significa per il Papa essere uomini dal «pensiero incompleto», dal «pensiero aperto». Lui ha un «disegno», cioè un’esperienza spirituale vissuta che prende forma per gradi e che si traduce in termini concreti, in azione. Non una visione a priori, che fa riferimento a idee e a concetti, ma un vissuto che fa riferimento a «tempi, luoghi e persone», come richiede Ignazio di Loyola. Per cui quella visione interiore non si impone sulla storia cercando di organizzarla secondo le proprie coordinate, ma dialoga con la realtà, si inserisce nella storia degli uomini, si svolge nel tempo. La strada che il papa intende compiere non è in una road map scritta a priori, ma è davvero aperta e rifugge le conclusioni facili: il cammino si apre camminando. A volte il Papa apre discorsi senza però chiuderli subito o trarne conseguenze affrettate, lasciando così lo spazio al dialogo e al dibattito…
Un pontificato di tensione tra spirito e istituzione. Scrive Papa Francesco nella EG: «La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi» (EG 22). Esiste sempre una tensione dialettica intraecclesiale tra spirito e istituzione: l’uno non nega mai l’altro, ma il primo deve animare la seconda in maniera efficace, incisiva. Scrive ancora il Papa: «Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (EG 49). Poi, più avanti, afferma che la Chiesa è «popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale» (EG 111).
Un pontificato di frontiera e di sfide. «Si deve andare verso le frontiere e non portare le frontiere a casa per verniciarle un po’ e addomesticarle». Il nostro compito, dunque, è quello di «accompagnare […] i processi culturali e sociali, e quanti stanno vivendo transizioni difficili, facendovi carico anche dei conflitti». In altre parole, Francesco vive il suo ministero, che ha nella missionarietà e nella pastoralità le sue dimensioni fondamentali. La sua domanda più radicale è: come annunciare il Vangelo oggi a chiunque, qualunque sia la sua condizione esistenziale? La Chiesa è dunque «per strada», callejera: vive e agisce per strade accidentate. E tuttavia, più che vedere «problemi», Papa Francesco vede davanti a sé sfide da affrontare.
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Ho letto con grande passione l’esortazione apostolica Evangelii gaudium dove papa Francesco delinea la Chiesa che è secondo il cuore di Gesù Cristo: ben presto ti rendo conto di quanto sia appassionato l’amore che lo lega a Lui!.
C’è una domanda, verso la fine dell’Esortazione (EG. 264), che ho voluto far risuonare nel mio cuore fino a sentirlo dolorante per una verità che pian piano ho lascito emergere da dentro; la risposta a tale domanda mi si rivela in difetto, mi trova insufficiente. Per questo continuo a chiedere al Signore che ‘torni ad affascinarmi’!! Questa domanda voglio rivolgerla anche a voi in tutta la sua forza dirompente: Che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci.
A noi l’impegno a lasciarci affascinare, la nostalgia struggente nel cercare il suo Volto! la volontà di guardare a papa Francesco con amore ed entusiasmo rispondendo con gioia al suo pressante invito ad essere disposti ad evangelizzare con audacia e generosità!