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Se puoi sognarlo puoi anche farlo

“Ammirando da un’altura la spianata verde della valle, m’è parso di capire che un giorno il Signore avrebbe voluto, in un qualche posto, una Cittadella permanente; e, con la fantasia, ho immaginato di vedere la vallata popolata di case e casette”. (Chiara Lubich)

Ho conosciuto questa realtà al meeting giovanile che si è svolto il 1 maggio a Loppiano, prima Cittadella internazionale dei Focolari, che incarna il sogno di Chiara Lubich. Quando mi è stato proposto di partecipare al Genfest ho colto subito l’occasione di iscrivermi spinta sia dal desiderio di vivere una giornata di festa sia dall’interesse di approfondire un movimento che porta il carisma dell’unità in tutto il mondo. Più precisamente sono stati la bellezza nella diversità, la gioia nella preghiera, l’unione nella condivisione di esperienze personali, azioni e progetti sociali gli aspetti che mi hanno maggiormente incuriosita e attirata fin dal primo momento. Ciò che mi ha affascinato è stato anche l’incontro con persone di ogni età, cultura, vocazione, categoria sociale provenienti da ogni parte di Italia e non solo.

“Come io ho amato voi, anche voi amatevi gli uni gli altri” e“ Che siate uno affinché il mondo creda”.

Ho visto a Loppiano come l’unità e l’amore siano il fondamento per l’edificazione di un mondo coeso che ci permetta di andare oltre le differenze, favorendo l’incontro con altre religioni, instaurando un dialogo con culture distanti dalla nostra per costruire, ogni giorno assieme, ponti.

E la forza per aprirsi a nuovi orizzonti di fiducia e speranza è stata individuata proprio nei giovani come me. Questo è ciò che il Genfest ha cercato di fare proponendo un evento dal titolo Beyon Me dedicato al prendere coscienza dei propri confini, partendo dall’esperienza del limite. Il tema trattato è stato presentato tramite racconti di ragazzi in cui il limite diventa il trampolino di lancio per superarsi, per stupirsi, per sperimentarsi ricchezza e dono per gli altri, per trovare il coraggio di fare il primo passo, per essere liberi, per guardare un punto lontano e fare di lui la nuova meta per una rinnovata speranza in se stessi e negli altri. Attraverso la musica, la recitazione, il canto e le storie di vita è stata lanciata una provocazione: diventare responsabili di se stessi per essere quel cambiamento che si vuole vedere nel mondo. Io e altri ragazzi l’abbiamo colta mettendoci in discussione.

“Che cosa vuol dire andare oltre me stesso? In quali aspetti posso essere novità ed esempio per l’altro?”

Andare oltre me stesso significa porre il giusto entusiasmo in tutto. L’acqua è quell’elemento che mi permette di mettermi in gioco, di superarmi, di vincere le infermità che quotidianamente affronto. Di grande incoraggiamento sono sempre state le parole di mio papà: «Se puoi sognarlo puoi anche farlo. Solo in te trovi la forza per superare i tuoi limiti e far nascere il bello in ogni cosa che vorrai realizzare»”.

Significativo il discorso di Simone Barlaam, campione paraolimpico di  nuoto, le cui parole mi toccano nel profondo facendomi riaffiorare ricordi dell’adolescenza. Nelle gare di nuoto, sport a me molto gradito, trovavo il modo per affrontare e superare me stessa, i mie ostacoli e le mie paure. L’acqua era la mia più grande avversaria e alleata.

Ho dovuto accogliere la malattia per capire che la vita, anche con questo limite, non è una condanna ma un dono che mi aiuta a dare un senso profondo alla mia esistenza”.

Lui è Marco Voleri, tenore di fama internazionale e fondatore di Sintomi di Felicità che dimostra come accettare e andare oltre la malattia, sensibilizzando il pubblico sul tema della sclerosi multipla. Trova nella musica un linguaggio universale che gli permette di essere strumento per gli altri. Per Marco andare oltre se stesso significa svegliarsi ogni mattina per trovare sempre un sintomo di felicità per cui ringraziare.

Hanno preso poi parola due giovani fratelli siriani, George e Michael, che hanno narrato da cristiani vissuti in un contesto musulmano il proprio dolore e i drammi dell’umanità. Parlare delle atrocità che la guerra comporta non è stato facile soprattutto per loro che hanno visto e toccato con mano la morte, l’odio, la disperazione. Subito è calato un silenzio tra il pubblico. Io stessa mi sono messa in ascolto e ho chiuso gli occhi per immedesimarmi maggiormente nella condizione in cui si sono trovati. Ho provato rabbia e dolore visualizzando nella mia mente immagini proposte quotidianamente alla televisione che passano oramai come normalità.  Privati della loro dignità, degli affetti più profondi perdono fiducia in quei valori che la fede cristiana ha loro sempre trasmesso.

Abbiamo cominciato a credere che l’amore non esistesse, che fosse solo un ideale. Il nostro cuore era ferito. Circondati dalla morte abbiamo iniziato a girare con le armi. Siamo riusciti a superare il nostro limite attraverso un incontro tra nostri coetanei cristiani. Andare oltre noi stessi è significato rispondere all’odio con azioni concrete d’amore”.

Ormai abituati a ricevere notizie di guerra, di scontri, di bombardamenti, non facciamo quasi più caso a quello che si muove dentro di noi apprendendo tali informazioni. A tutto questo non diamo più molta importanza adagiandoci senza agire e limitandoci a sentire. Invece è possibile e fondamentale passare all’azione per fermare questa crudeltà. Come? Dove possiamo essere responsabili di noi stessi e del mondo? Impegnandoci personalmente, come raccontano Alessio e Beatrice, per un’economia disarmata e facendo capire al governo la necessità di applicare la legge che vieta la vendita di armi ai Paesi in guerra.

Queste sono alcune testimonianze di vita che indicano come uscire dalla propria comfort zone per essere agenti di un cambiamento verso l’altro, nella società e per l’umanità.

Allora mi chiedo: “quale mio grande limite sono riuscita ad affrontare per fare un passo verso la libertà?” Per me è stato importante scardinare il proverbio Chi fa da sé fa per tre, cioè quando le cose le faccio da sola, il risultato è migliore di quanto potrebbe essere attraverso la collaborazione con altri. Andare oltre me stessa è significato vedere gli altri come uno strumento per raggiungere un fine: la libertà. Il riconoscermi bisognosa d’amore mi ha portato a uscire dal mio individualismo e chiedere aiuto. Questo è stato un passo fondamentale per lasciarmi amare e interiorizzare che in unità si arriva prima alla mèta.

Alessia Dosi

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