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Pronto? Alessia, sono papà!

Non è mai troppo tardi per iniziare a vivere

Sono a un evento di raccolta fondi presso un centro commerciale di Roma e mi chiama mio papà. Mi dice che domani sarebbe partito per lavoro. Meta Tel Aviv. Mi chiama sempre prima di partire per un viaggio e mi tiene aggiornata tra uno scalo e l’altro, inviandomi anche una foto. Non mi sono mai fermata a capire il perché lo faccia. Il suo volersi fare presente in questo modo è per dirmi:

Parto ma ritorno presto, ti aggiorno perché sono presente nella tua vita e parte del tuo cuore è qui con me”.

Due sono le occasioni in cui si fa sentire: per salutarmi prima di prendere un volo aereo oppure per chiedermi come sto e cosa sto facendo. I nostri scambi non sono sempre profondi. Anzi, alle volte mi capita di dare per scontato il fatto che me lo chieda.

In questa telefonata mi chiede: “Come stai Alessia? Cosa stai facendo?”. E l’affermazione che segue è: “Ho parlato con tua sorella!”. Immagino già il contenuto del loro discorso, ma aspetto che lui inizi a parlarmene. Non lo anticipo come al mio solito; gli lascio spazio. Sono curiosa di sapere cosa mi avrebbe detto questa volta. Inizia a parlare e già dalle prime battute la mia ipotesi sull’argomento trova conferma: la mia realizzazione nel futuro.

Quando affronto questo discorso con i miei famigliari sento dentro molta pressione, perché credono di sapere il mio bene, cercando di convincermi a seguire i progetti e le aspettative che loro hanno su di me. Sento che il mio spazio non viene rispettato e mi mandano ulteriormente in confusione rispetto alla ricerca interiore che io sto facendo.

Per un genitore, vedere una figlia realizzata credo sia uno dei desideri più belli, una delle soddisfazioni più grandi, uno dei passi importanti della vita che sono simbolo di gratitudine, un motivo per essere felici.

È difficile stare accanto a una figlia che è alla ricerca di se stessa, delle sue aspirazioni più profonde, dei suoi sogni da realizzare per essere veramente gioiosa. C’è spesso la tendenza ad imporre senza lasciare libertà di scelta e decisione.

La telefonata continua ma la linea è interrotta. Sento a intermittenza delle parole ma poi la linea cade prima di dire: “Ci sentiamo questa sera!”. Sono consapevole che alla sera sarà difficile ricevere la sua chiamata e ascoltare ciò che vuole dirmi.

Mentre tento di richiamarlo mi arriva un messaggio su Whatsapp. Credevo riportasse le ultime parole della telefonata precedente invece mi scrive:

Non si capisce. Chiamami quando puoi perché è importante. Non è mai troppo tardi! Era il titolo di una trasmissione educativa quando ero piccolo, ed è sempre vero!”

Lo richiamo finché non risponde e dall’altra parte sento dirmi parole che avrei desiderato sentire in ogni scelta della mia vita, in ogni momento fondamentale in cui una bambina o donna è pronta a compiere un passo nell’incertezza consapevole di appoggiarsi a una certezza. E quest’ultima ha un nome, ha un volto: si chiama papà.

È una delle prima parole che i bambini imparano perché associano a quel nome una figura importante che sarà presente nella loro vita come punto sicuro a cui tornare. Mi ripete le parole scritte nel messaggio e aggiunge:

Dentro di te sai che cosa vuoi fare. Non avere paura di osare, di provare a realizzare il tuo sogno. Io credo in te e nei tuoi talenti perché so che puoi farcela. Io ti sostengo e non preoccuparti per eventuali spese che devi affrontare.”

Lo ringrazio perché era l’unica cosa che mi veniva da fare in quel momento. Lo saluto, chiudo la telefonata e mi abitano subito un misto di emozioni e sensazioni: gioia, entusiasmo, smarrimento iniziale e poi pace, sicurezza. Con quelle parole mi sento avvolta in un abbraccio caldo, sento di essere tornata a quel porto sicuro che avevo perso di vista, mi sento ascoltata e rispettata nella mia intimità, mi sento sostenuta e amata. Mi sono permessa di lasciarmi andare, di farmi prendere per mano, di respirare una boccata di aria fresca che riempie i polmoni.

Le sue parole mi nutrono, sono balsamo per il mio cuore, rimarginano un po’ la mia ferita.

Ciò che mi doveva dire era veramente importante, questi cinque minuti di telefonata sono stati uno spiraglio di luce per il mio smarrimento interiore rispetto a un punto di riferimento mancante, lasciandomi una domanda chiara nel cuore: “Come voglio essere dono per l’altro per realizzarmi nella mia vita?”.

Alessia Dosi

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