Attualità
Il perdono ai mafiosi. Esistono due chiese…
L’articolo della mia amica, Franca Fortunato, sollecita tutti noi, laici impegnati ad annunciare il Vangelo e a trasformarlo in realtà possibile, ad abbandonare le frasi fatte, i giudizi morali comuni, gli stereotipi culturali che utilizziamo spesso inconsapevolmente, per prendere la strada della riflessione, della ricerca, per entrare nei grandi problemi della nostra società con intelligenza e cuore, con criticità e delicatezza.
E soprattutto per pregare, cioè per chiedere allo Spirito una nuova forza di liberazione e di annuncio per la sua chiesa, nata nella povertà, nella libertà e nell’amore perché nata dal cuore di Gesù, il Cristo.
Il perdono ai mafiosi. Esistono due chiese…
Nel leggere gli interventi seguiti, su questo giornale, all’omelia del vescovo Fiorini Morosini in occasione della festa della Madonna di Polsi e alla lettera pastorale di Monsignore Nunnari, mi sono tornate alla mente le parole che Rosaria Schifani pronunciò nel Duomo di Palermo il giorno dei funerali del marito Vito Schifani, l’agente morto, nella strage di Capaci, insieme a Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro.
Allora, rivolgendosi ai mafiosi e modificando il testo preparatole dal sacerdote, che prometteva loro il perdono se solo si fossero pentiti, lei disse: “Io vi perdono, però voi vi dovete mettere in ginocchio.. Ma loro non vogliono cambiare , loro, loro non cambiano, non cambiano”. Dopo l’uccisione del giudice Borsellino, Rosaria fece un lungo viaggio tra le vedove di mafia e scrisse una lunga lettera ai mafiosi. Affidò il tutto al giornalista Felice Cavallaro, che ne fece un libro “Lettera ai mafiosi – Vi perdono ma inginocchiatevi” ed. Tullio Pironti.
Nella lettera Rosaria riprende il problema del perdono e, rivolgendosi ai mafiosi, scrive: ”Avete perduto, uomini senza onore. State perdendo pure i figli che guardano le vostre mani sporche di sangue. Il disprezzo vi sommergerà. Forse siete in tempo per non farvi odiare dai vostri stessi figli. Io vi perdono ma inginocchiatevi (…) Se noi ci convincessimo che non possiamo più perdonare allora finiremmo per darvi partita vinta, per ammettere che l’alternativa alla barbarie è altra barbarie, come qualcuno nella disperazione ha pensato, perché di tanti di voi si conosce tutto e la vendetta sommaria potrebbe bilanciare le stragi sommarie. E’ questo lo scenario che mi atterrisce e che deve obbligare noi, assetati di giustizia, a cercare solo giustizia e non altro(..). Io vi perdono ma dovete inginocchiarvi. (..) Voi mafiosi, voi corrotti siete nei guai, braccati nelle vostre stesse case, perché quel che io intuisco lo capiranno i vostri figli e, guardandovi negli occhi, faranno scattare l’odio per il padre. Accadrà quando scopriranno la rovina di un’esistenza e allora, come io spero, in assenza di un pentimento reale dei genitori, potranno ribaltare e violare il comandamento divino, potranno ribellarsi e rinnegarvi. Vorrei poterlo dire guardando con pietà e con amore ognuno di questi ragazzi: rinnega tuo padre, se è mafioso. A questo vorrei condannarvi signori della morte mentre la mia fede mi obbliga a parlare del perdono perché è scritto nella Bibbia e nella storia di Cristo che in croce ha invocato il Padre: < Dio, perdona loro>. Debbo farlo anch’io dalla mia croce, le croci che mi avete scaraventato addosso il 23 maggio e il 19 luglio. Io invito al perdono, escludo la vendetta ma chiedo alle belve di inginocchiarsi e agli uomini di agire per fare vera giustizia(…) Ma loro non vogliono cambiare; loro, loro non cambiano”. Il problema, perciò, – come scrive Rosaria – non è il perdono che, ogni credente, come lei, è disposto a dare in presenza di un reale pentimento, ma il cambiamento dei mafiosi, la loro “conversione” – come la chiama monsignore Morosini – che per Rosaria non verrà mai.
In attesa, comunque, che qualche mafioso si penta in seguito a una crisi religiosa – cosa che fino ad ora non è successo – resta il problema per la Chiesa di spiegare a se stessa e a tutti noi come è stato possibile che assassini abbiano potuto sentirsi a loro agio nella Chiesa. Come è potuto accadere che non sentissero alcuna contraddizione tra l’essere mafioso e l’essere cristiano. Loro si sono sempre considerati dei cristiani. Credono in Dio, nella Chiesa di Roma, vanno a messa, si comunicano, fanno battezzare i loro figli, fanno fare la comunione, si sposano con rito religioso (anche quando sono latitanti), fanno da padrini di cresima ai tanti che glielo chiedono, ricevono l’estrema unzione se muoiono nel loro letto e pretendono il funerale religioso, sono tra i massimi benefattori di molte parrocchie, organizzano le feste nelle processioni. Non esiste alcun mafioso ateo o anticlericale. Come è stato possibile che vittime e carnefici siedano la domenica nello stesso banco e preghino lo stesso Dio? Come è stato possibile che feroci assassini si siano trovati in pace con Cristo e la sua Chiesa e credono contemporaneamente nel Vangelo e nell’omicidio? Domande che, partendo dall’assunto che “la religione è una componente dell’identità dei mafiosi”, Isaia Sales si pone nel suo libro “I preti e i mafiosi – Storia dei rapporti tra mafie e chiesa cattolica” Ed Dalai, e ne dà alcune risposte convincenti. “La chiesa nel suo complesso – lui scrive – non ha considerato le mafie e tutte le organizzazioni criminali come un nemico ideologico (…). Le mafie non hanno mai attaccato alcun dogma della Chiesa, non hanno avvertito nessuna necessità di farlo. Ne è un esempio il concetto di famiglia. Le mafie si sono ispirate al concetto di famiglia prevalente nella dottrina cattolica, compreso l’aspetto della morale sessuale(…) La Chiesa ha ingaggiato una lotta ideologica contro le eresie, contro il modernismo, contro il liberalismo, contro il comunismo, contro i contraccettivi, contro l’aborto, contro il divorzio”. Un mafioso va recuperato e – come ha scritto monsignore Giuseppe Agostino nella sua lettera pastorale – “non si tratta di emettere la scomunica – proclama”, cosa che, invece, la Chiesa ha fatto tranquillamente con chi ha combattuto ideologicamente.
Non si dica che non esistono due chiese, per fortuna della Chiesa stessa. Dopo l’uccisione di padre Puglisi, così scriveva padre Fasullo sulla rivista “Segno”: “A Palermo ci sono due chiese dai comportamenti diversi. Quella di padre Puglisi che considerava insanabile la frattura tra mafia e il Vangelo, e coloro che vanno a colloquiare con i mafiosi sospinti dal desiderio di ritrovare ad ogni costo la pecorella smarrita”. E in Calabria? Ricordando le parole di don Tonino Bello : “Non mi importa chi è Dio, mi basta sapere da che parte sta”, credo si possa dire con tranquillità, credenti o non, al di là di ogni omelia o lettera pastorale, che Dio non sta dalla parte dei mafiosi perché – come disse Rosaria in quel Duomo – : “Troppo sangue, non c’è amore qui, non c’è amore qui, non c’è amore per niente…”.
Pubblicato in Il quotidiano della Calabria (14.09.2012)
Carissima,
grazie di cuore per questa riflessione così impegnativa e stimolante allo stesso tempo.
In realtà sento che per me non si tratta solo di una riflessione ma di un vero e proprio stimolo a mettere in discussione tutto un sistema (in primo luogo mio interiore) di connivenze e complicità che “uccide” la Verità piuttosto che smascherare le proprie contraddizioni interne…mi ricorda una storia già sentita tempo fa…di un tale che si chiamava Giovanni Battista…poi un po’ di tempo dopo un altro tizio di nome Gesù…e guarda che fine hanno fatto!
Eppure se è vero che “un discepolo non è più grande del proprio Maestro” (Mt 10,24) credo che se vogliamo vivere davvero il Vangelo non potremo esimerci dal prendere una posizione netta…ovvero scegliere da quale parte stare!
E non possiamo di sicuro invocare la Misericordia di Dio se prima il nostro cuore non è pronto ad accoglierla perché non disposto a cambiare sul serio….
Dunque, grazie di cuore per l’avviso!
Grazie dell’articolo, Rosaria Schifani è davvero una testimone di Vangelo vissuto che riesce a dare un forte scossone nelle coscienze “assopite”.