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«Sei più bello di quanto tu non osi credere». A-Dio, Jean Vanier!

Nato nel 1928 a Ginevra, Jean Vanier da giovane fu un ufficiale di marina. Ad un certo punto della sua giovinezza, scelse di dare una svolta alla sua esistenza. «Decisi di abbandonare la vita militare – afferma – con il desiderio di conoscere il Vangelo e la pace. Così andai a studiare filosofia a Toronto.»

Cercai di scoprire – racconta – cos’è il vero e cos’è il falso, cos’è un essere umano. Nel 1963 conobbi la condizione di persone con grave disabilità. Un sacerdote mi fece mettere a contatto diretto con ragazzi che non erano studenti assetati di ‘studio’, ma si chiedevano: “Chi sono, perché sono così, perché nessuno mi crede, perché i miei genitori non sono felici che io esisto?”».

Una grande ‘pezzo’ dell’umanità, questa notte, è passato a miglior vita ed una grande eco, stamane, ha risuonato in tutto il mondo per condividere la perdita di una persona così speciale che ha saputo fare del limite, della povertà e della fragilità una scuola d’amore.

Cosa dire di questo uomo? Mi colpisce personalmente l’affermazione di un suo compagno di viaggio che, all’annuncio della scomparsa del suo fondatore, afferma: «Jean Vanier? Ci ricordava la storia di un bambino handicappato che, nella sua saggezza, confortava sua mamma dicendole: “Gesù mi ama come sono!”».

Jean Vanier è questo: un uomo che ha amato talmente il sapere, la verità, fino a scoprire che il limite e la fragilità non intaccano in nessun modo il cuore dell’uomo. Tutto o in parte può essere danneggiato o compresso; il cuore no.

Ed è lì la realtà su cui scommettere e su cui costruire la propria vita. Ha fondato allora una comunità, l’Arca, in cui si accolgono persone con handicap e operatori sociali. Per lui, entrambi, sono alla scuola l’uno dell’altro. Ha dato vita anche a Foi et Lumière perché, per un assetato di verità come lui, la fede non si opponeva alla ragione, la fragilità dell’intelligenza o del fisico non si opponeva ad una vita felice, poiché la sede in cui abita Dio è il cuore dell’uomo, e in nessuno questa parte è compromessa; in nessuno.

Credo che il suo testamento possa riassumersi in un parola: accoglienza.

È bello accogliere l’altro, la propria vita, la propria storia, la fragilità nostra e di quanti incontriamo. Accogliere è liberante, è arricchente, è causa della nostra felicità di oggi e di domani. L’accoglienza poi prende forma in una comunità, piccola o grande che sia. Insieme s’impara ad accogliere e ad essere felici perché è il luogo dove sentirsi amati.

Grazie, Jean Vanier, per averci ricordato a fatti e non a parole che il sapere è tale quando non si arrende davanti alla fragilità, ma l’accoglie e la nobilita perché diventi causa della nostra gioia.

E con Papa Francesco diciamo anche noi: «Prego per lui e per tutta la comunità de L’Arche».

 

 

 

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