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BENIGNI: UN’OCCASIONE PERSA. LA RISPOSTA DI BENEDETTO XVI AL MONOLOGO SUL CANTICO DEI CANTICI

Non ho seguito Sanremo e solo oggi sono riuscito ad ascoltare l’intervento di Benigni.

Prima di esprimere il mio personale pensiero vorrei fare anche una precisazione relativamente ad un articolo uscito nel nostro sito che riportava alcuni passaggi positivi del suo discorso.

Quell’articolo è stato scritto da un giovane che voleva valorizzare alcune parti senza entrare nella polemica e ingenuamente non ha espresso anche la parte critica del suo pensiero, così da poter lasciare supporre che potesse esserci una approvazione in toto di ogni parte del contenuto. Dinnanzi alle polemiche e ai commenti che diverse persone hanno scritto, abbiamo deciso di togliere l’articolo lasciando solo quest’altro scritto da don Sergio Reali: Il Cantico deiCantici: non solo parole d’amore umano.

Rispetto ad alcune critiche molto dure che mi sono state riportate – intendo i commenti in facebook al nostro post oggi rimosso – penso anche sia corretto dire che alcune espressioni sono state un po’ troppo esagerate.

Ho letto attacchi gratuiti alla persona di Chiara Amirante o al sottoscritto quando entrambi non abbiamo né seguito SanRemo né abbiamo avuto modo di leggere l’articolo fino ad oggi perché impegnati. Così come mi hanno fatto male alcune generalizzazioni e giudizi carichi di violenza. Penso si possa esprimere il proprio disappunto pur portando rispetto.Inoltre condivido in pieno il pensiero espresso. Condivido appieno la critica; è corretto fare auto-critica e per questo abbiamo scelto di togliere il post equivoco e di lasciare invece quello che ci rappresenta. Permettetemi una battuta dinnanzi a chi si è permesso di dire che Nuovi Orizzonti ha perso la credibilità di 25 anni di storia in un secondo: generalizzazioni così sono sempre sbagliate perché si lapida una persona o una realtà ad un possibile primo errore di uno dimenticando anni in cui ogni giorno molte persone spendono notte e giorno la propria vita gratuitamente per gli altri e in difesa di valori irrinunciabili. Da sempre Nuovi Orizzonti – in primis Chiara Amirante – ha parlato in modo chiaro per difendere i valori evangelici, della Tradizione e del Magistero. Qualsiasi libro e scritto di Chiara Amirante denuncia da sempre i “veleni” del mondo di oggi citando in modo esplicito il relativismo etico che ha avvelenato le menti e i cuori. I Cavalieri della Luce hanno proprio questa missione.

Venendo all’intervento di Benigni, personalmente penso che sia stata persa una grande occasione. Nessuno può pretendere che sia Benigni a dover difendere certi valori. Se Benigni ha avuto l’ardire positivo di portare la Bibbia in televisione, ha sicuramente “fatto violenza” al testo biblico, non precisando bene i piani che velatamente ha comunicato.

Un conto è cosa dice oggettivamente il testo e un conto è cosa pensa personalmente lui. Non è assolutamente acquisito scientificamente che il testo da lui presentato come il testo “primitivo” del Cantico dei cantici lo sia realmente e la sua interpretazione esageratamente centrata sull’esercizio della sessualità è un travisamento o comunque una sua personale interpretazione che ha venduto come quasi concordata con i nomi altisonanti citati, senza precisare a quale livello siano stati coinvolti nel suo discernimento.

In sintesi, direi che senza dubbio c’è stata tanta confusione e strumentalizzazione.

Non posso sapere quali fossero le sue reali intenzioni. Di certo il risultato finale è confuso, portando a credere che l’esercizio della sessualità sia positivo sempre e in qualunque modalità e che la Bibbia dica questo, mentre la Chiesa o la Tradizione avrebbero scelto di cassare questa visione. Sicuramente sul tema sessualità e affettività c’è molto da crescere senza passare da un estremo all’altro, ma oggi – in particolare grazie al Concilio Vaticano II, a san Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI in Deus Caritas est – la Chiesa ha una visione integrata e qualificata della morale sessuale, che presenta la sessualità come linguaggio di amore che deve essere vissuto in modi e contesti idonei perché non  si corra il rischio di farla diventare un “usa e getta”, ma esprima invece un “ti amo” aperto alla vita e capace di trasmettere e generare amore.

Direi alla fine che Benigni ha perso una grande occasione.

Se non avesse spacciato per bibliche personali interpretazioni, avrebbe potuto davvero trasmettere la curiosità per la Bibbia e per “la canzone delle canzoni”, dando una visione luminosa della sessualità. Ma forse qui sbagliamo noi… aspettandoci questo da Benigni.

E allora meditiamoci alcuni passaggi meravigliosi di Deus caritas est di Benedetto XVI che cita proprio anche il Cantico dei Cantici:

“Secondo Friedrich Nietzsche il cristianesimo avrebbe dato da bere del veleno all’eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio. […]

Ma è veramente così? Il cristianesimo ha davvero distrutto l’eros? Guardiamo al mondo pre-cristiano. I greci — senz’altro in analogia con altre culture —hanno visto nell’eros innanzitutto l’ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una « pazzia divina » che strappa l’uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta beatitudine. Tutte le altre potenze tra il cielo e la terra appaiono, così, d’importanza secondaria: « Omnia vincit amor », afferma Virgilio nelle Bucoliche —l’amore vince tutto — e aggiunge: « et nos cedamus amori » — cediamo anche noi all’amore [2].Nelle religioni questo atteggiamento si è tradotto nei culti della fertilità, ai quali appartiene la prostituzione «sacra» che fioriva in molti templi. L’eros venne quindi celebrato come forza divina, come comunione col Divino.

A questa forma di religione, che contrasta come potentissima tentazione con la fede nell’unico Dio, l’Antico Testamento si è opposto con massima fermezza, combattendola come perversione della religiosità. Con ciò però non ha per nulla rifiutato l’eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, poiché la falsa divinizzazione dell’eros, che qui avviene, lo priva della sua dignità, lo disumanizza. Infatti, nel tempio, le prostitute, che devono donare l’ebbrezza del Divino, non vengono trattate come esseri umani e persone, ma servono soltanto come strumenti per suscitare la «pazzia divina» : in realtà, esse non sono dee, ma persone umane di cui si abusa. Per questo l’eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa, « estasi » verso il Divino, ma caduta, degradazione dell’uomo. Così diventa evidente che l’eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende.

Due cose emergono chiaramente da questo rapido sguardo alla concezione dell’eros nella storia e nel presente. Innanzitutto che tra l’amore e il Divino esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità — una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere. Ma alcontempo è apparso che la via per tale traguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall’istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Questo non è rifiuto dell’eros, non è il suo « avvelenamento », ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza.

Ciò dipende innanzitutto dalla costituzione dell’essere umano, che è composto di corpo e di anima. L’uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell’eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d’altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza. […]  È l’uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l’uomo diventa pienamente se stesso. Solo in questo modo l’amore — l’eros — può maturare fino alla sua vera grandezza.

Oggi non dirado si rimprovera al cristianesimo del passato di esser stato avversario della corporeità; di fatto, tendenze in questo senso ci sono sempre state. Ma il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo, è ingannevole. L’eros degradato a puro « sesso » diventa merce, una semplice « cosa » che si può comprare e vendere, anzi, l’uomo stesso diventa merce. In realtà, questo non è proprio il grande sì dell’uomo al suo corpo. Al contrario, egli ora considera il corpo e la sessualità come la parte soltanto materiale di sé da adoperare e sfruttare con calcolo. Una parte, peraltro, che egli non vede come un ambito della sua libertà, bensì come un qualcosa che, a modo suo, tenta di rendere insieme piacevole ed innocuo. In realtà, ci troviamo di fronte ad una degradazione del corpo umano, che non è più integrato nel tutto della libertà della nostra esistenza, non è più espressione viva della totalità del nostro essere, ma viene come respinto nel campo puramente biologico. L’apparente esaltazione del corpo può ben presto convertirsi in odio verso la corporeità. La fede cristiana, al contrario, ha considerato l’uomo sempre come essere uni-duale, nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà. Sì, l’eros vuole sollevarci « in estasi » verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni.

Come dobbiamo configurarci concretamente questo cammino di ascesa e di purificazione? Come deve essere vissuto l’amore, perché si realizzi pienamente la sua promessa umana e divina? Una prima indicazione importante la possiamo trovare nel Cantico dei Cantici, uno dei libri dell’Antico Testamento ben noto ai mistici. Secondo l’interpretazione oggi prevalente, le poesie contenute in questo libro sono originariamente canti d’amore, forse previsti per una festa di nozze israelitica, nella quale dovevano esaltare l’amore coniugale. In tale contesto è molto istruttivo il fatto che, nel corso del libro, si trovano due parole diverse per indicare l’«amore ». Dapprima vi è la parola « dodim » — un plurale che esprime l’amore ancora insicuro, in una situazione di ricerca indeterminata.Questa parola viene poi sostituita dalla parola « ahabà », che nella traduzione greca dell’Antico Testamento è resa col termine di simile suono« agape » che, come abbiamo visto, diventò l’espressione caratteristica per la concezione biblica dell’amore. In opposizione all’amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo esprime l’esperienza dell’amore che diventa ora veramente scoperta dell’altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l’amore diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell’amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.

[…] Nel dibattito filosofico e teologico queste distinzioni spesso sono state radicalizzate fino al punto di porle tra loro in contrapposizione: tipicamente cristiano sarebbe l’amore discendente, oblativo, l’agape appunto; la cultura non cristiana, invece, soprattutto quella greca, sarebbe caratterizzata dall’amore ascendente, bramoso e possessivo, cioè dall’eros.Se si volesse portare all’estremo questa antitesi, l’essenza del cristianesimo risulterebbe disarticolata dalle fondamentali relazioni vitali dell’esistere umano e costituirebbe un mondo a sé, da ritenere forse ammirevole, ma decisamente tagliato fuori dal complesso dell’esistenza umana. In realtà eros e agape —amore ascendente e amore discendente — non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro.

[…] Abbiamo così trovato una prima risposta, ancora piuttosto generica, alle due domande su esposte: in fondo l’« amore » è un’unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta, l’una o l’altra dimensione può emergere maggiormente. Dove però le due dimensioni si distaccano completamente l’una dall’altra, si profila una caricatura o in ogni caso una forma riduttiva dell’amore. E abbiamo anche visto sinteticamente che la fede biblica non costruisce un mondo parallelo o un mondo contrapposto rispetto a quell’originario fenomeno umano che è l’amore, ma accetta tutto l’uomo intervenendo nella sua ricerca di amore per purificarla, dischiudendogli al contempo nuove dimensioni. Questa novità della fede biblica si manifesta soprattutto in due punti, che meritano di essere sottolineati: l’immagine di Dio e l’immagine dell’uomo.”

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