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Oltre le sbarre per liberare la gioia
Può entrare la gioia in un luogo come il carcere? Può un bambino vivere una mattina di gioia incontrando il padre detenuto senza accorgersi di essere in un luogo triste? Quanta gioia sente un padre detenuto nel vedere il figlio ridere e giocare sotto i suoi occhi? Probabilmente, in un luogo così, non saprebbe nemmeno come donargli quella felicità che ogni padre desidera per il figlio.
Questo è un motivo per cui noi, volontari di Cittadella Cielo di Frosinone, ci rechiamo in carcere: liberare la gioia.
Una volta al mese, in occasione delle visite da parte delle famiglie ai loro cari, ci mettiamo a servizio per animare l’incontro. Prima di accogliere le famiglie in sala teatro, preghiamo insieme mettendo tutto nelle mani di Dio.
Abbiamo sperimentato infatti che, nonostante le difficoltà che si verificano puntualmente nella fase di preparazione, fidarci di Dio non ci ha mai delusi. Accogliamo le famiglie con un piccolo rinfresco e, con la scusa di servire alle famiglie qualche dolcetto, ne approfittiamo per riscaldare il sorriso. Si respira aria di festa negli abbracci tra i famigliari!
Il nostro intento è quello di lasciare un messaggio d’amore forte che rimanga nel cuore sino alla prossima visita; cerchiamo di far passare un po’ di quello smisurato amore che Dio ha per ognuno di noi.
Per rompere il ghiaccio l’equipe che va in carcere organizza un piccolo giochetto per conoscersi e subito dopo propone un laboratorio con i bambini in modo da tenerli occupati per permettere ai genitori di avere un momento di scambio tra di loro.
Durante il laboratorio i bambini svolgono delle attività per lasciare alla fine dell’incontro un ricordo ai papà: a volte un disegno, la coreografia di un ballo, una maglietta con le impronte delle mani, un gesto che esprima il loro amore. Per riuscire in questo, ognuno di noi dell’equipe mette a servizio i propri talenti: c’è chi balla, suona, anima, organizza giochi per i bimbi, c’è chi sa montare un amplificazione e chi sa dire una parola profonda dal cuore. Tra di noi si respira comunione e questo permette all’amore di arrivare ai cuori delle famiglie.
Per me, che sono in un cammino di guarigione del cuore, interagire con questi bambini è davvero forte. Nella mia infanzia non ho potuto giocare con altri amichetti, perciò lascio scatenare il bimbo che è in me e questo mi riempie di gioia.
Nell’ultimo incontro sono rimasto colpito da un bimbo in particolare. Mentre disegnavamo vicini, mi domanda cosa stessi disegnando. Mi ero lasciato un po’ guidare dalla fantasia e il risultato era un ciuffo d’erba che, spuntando dal terreno, lanciava le sue punte verso il cielo. Ne ho approfittato per lanciargli un messaggio di speranza.
Ho pensato che per il figlio di un detenuto deve essere pesante il senso di solitudine dovuto all’assenza del padre e mi sono lasciato guidare da questa spiegazione:
Sai – dissi al bimbo – io prima ero qui nel terreno e mi sentivo solo… poi è successo una cosa bella e sono sbocciato… Sono cresciuto tanto tanto fino a toccare il cielo… e sono diventato anche io una parte del cielo…».
Alessio mi risponde: «E’ stato Dio!». Che meraviglia scoprire quanto sia forte la presenza di Dio nel cuore dei bimbi e soprattutto di quelli che soffrono! Dopo il laboratorio, i bimbi hanno consegnato il disegno ai papà e noi abbiamo portato per i padri una candela a forma di stella da regalare ai figli per dire loro che ogni figlio è come una stella per il proprio papà.
Subito dopo abbiamo fatto ballare tutti i bambini sulle note di ‘Il più grande spettacolo dopo il big bang’ per lanciare il messaggio che ognuno di noi è una meraviglia stupenda, cosa che spesso sfugge dietro alle sbarre o nell’atroce attesa di un abbraccio del papà.
Al momento dei saluti abbiamo accolto la gratitudine commossa ed i ringraziamenti di tutti, ma nel nostro cuore eravamo già sazi della gioia che lo Spirito Santo ci stava donando. Mentre andavamo via, guardandoci negli occhi, ci siamo detti: «Wow, che bello!». Sì, vivere nell’amore è veramente bello, anche in un luogo come il carcere perché «ero in carcere e mi avete visitato… e mi avete rallegrato!».
Francesco Favale