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Tempo di immaginare, tempo da immaginare

Buoni propositi per il nuovo anno

È un inizio nuvoloso. Svoltiamo nell’atteso 2021 sotto un cielo pesante, coperto da nuvole di incertezza, analisi mai risolutive, risposte che non riescono a superare la breve durata dell’ipotesi, soluzioni temporanee, politica litigiosa e policy dal fiato corto. È un cielo basso, anche lui rinchiuso nella cronaca scandita da dati sanitari e decreti, una dimensione onnicomprensiva e invasiva di ogni altra, in cui si sono appiattiti da mesi il nostro tempo e le nostre narrazioni, viviamo in una allarmata cronaca permanente, secondo le lucide e differenti analisi di numerosi sguardi.

In questo terreno limitato speriamo ardentemente una rinascita, ne parliamo, la vediamo balenare ogni tanto in qualche idea, azione, dichiarazione, ma in realtà ci muoviamo più preoccupati di restaurare la normalità che di cercare le radici del cambiamento necessario. Le grandi domande, apparse da tempo all’orizzonte di una emergenza mondiale che ha dato loro evidenza ed urgenza, rimangono sopra le nuvole basse che chiudono il cielo, da lì ci chiedono del mondo iniquo di cui la pandemia ha svelato e acutizzato le disparità, delle strutture capitalistiche e consumistiche resilienti ad ogni attacco o mutazione sociale, della povertà economica e di quella educativa e di quella digitale, dell’emergenza climatica, della sanità e della scuola pubblica. Camminiamo al di sotto e lontano da queste domande, esse sono irraggiungibili per chi procede solo con scatti emergenziali.

Allora è più che mai tempo di immaginazione.

Tempo di dare forma al groviglio del nostro tempo, di mettere mano alla ‘nuova immaginazione del possibile’ di cui ha parlato in aprile Papa Francesco. Non si tratta di usare la fantasia o di trovare soluzioni brillanti, cose certamente lodevoli e lodevolmente praticate in questi mesi.

L’immaginazione di cui parliamo è la capacità divina che abbiamo nelle mani di modellare le cose, di compartecipare alla genialità creatrice del Deus imaginans che ci ha creati.

Secondo L. Manicardi, ‘l’opera di creazione è anche opera d’immaginazione’ perché Dio dà forma di immagine a ‘ciò che ancora è assente e a ciò che ancora non è reale’; lo fa come un vasaio che modella la sua creazione, avendo accanto ‘come artefice, come sua delizia… che gioca con Lui ogni giorno’, come forma ideale della bellezza delle cose create, la Sapienza(Gen 2, 4b-7; Prov 8,22-30), dono di Dio agli uomini.

Dunque possiamo immaginare a immagine di Dio.

Come nasce una immagine, una forma nuova delle cose?

Nasce sempre nel grembo di una lettura sapienziale delle stesse.

Innumerevoli storie bibliche narrano di un popolo e di uomini piegati da carestie, persi nel deserto, disillusi, vittime di piaghe o di deportazioni, gente che vive il collasso del proprio mondo senza alcun segno che uno nuovo, magari promesso, stia per nascere. La parola profetica donata in questi momenti come risposta è una voce che rinarra quegli eventi come storia sacra, parte di una più grande Storia di amore e di Alleanza, un progetto di bene misterioso ma inarrestabile;

e in genere essa chiede due cose: conversione e memoria, un cambio delle strutture di male prodotte e il ricordo del bene ricevuto che si esprime nel ringraziamento e nella lode.

(Se pensiamo a noi: la prima è un atteggiamento che stenta a tradursi in azioni concrete, nonostante siano evidenti, come detto, tanto le ‘malattie’ del mondo quanto la necessità di cambiare in fretta impedita da strutture radicate di egoismo; così come d’altro lato va riguadagnata la capacità di ringraziare che in tempo di incertezza, di crisi, di perdita della normalità, aiuterebbe a bucare la monotonia piatta della cronaca e a far acquisire spessore e direzione alla visione delle cose;

chi ringrazia sa di appartenere a Qualcuno o, laicamente, ad una storia e agli altri,

ed in virtù di questo sa dare il giusto peso agli avvenimenti, sa trarre forza dal bene che ha e che non è annullato, vede una traccia nella storia comune.)

In questa profondità si riacciuffa il filo della Promessa, che, come dice Bonhoeffer, è ciò che non biblicamente traduciamo con ‘senso’, ciò che oggi cerchiamo, a volte angosciosamente, in riferimento alla pandemia e al nostro tempo difficile da interpretare.

La Promessa è stare davanti al proprio futuro, è averlo dentro.

Ancora, in questa profondità in cui mette radici l’immaginazione, sentiamo, anche senza necessità di essere credenti,

che immaginare è amare, perché il Deus imaginans è prima di tutto un Deus amans, l’essenza di Dio è l’essenza della capacità immaginativa, che naturalmente produce bellezza e bene.

Tutta la Scrittura parla di questo: dalla prima pagina con Dio che ‘vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona’ (Gen 1,31), all’ultima in cui il Dio creatore per amore ‘asciugherà ogni lacrima dai loro occhi’ (Ap, 7, 17), in mezzo, la pratica di umanità di Gesù, le parole e gli atti rivoluzionari, i gesti e le istituzioni nate dal suo modo di vivere, completamente ispirati dall’amore e dalla compassione, specie per i più sofferenti, fino alla Resurrezione, il gesto più rivoluzionario di tutti, l’amore che non si rassegna e strappa i suoi amati dalla morte. E d’altro lato, è esperienza di ogni uomo la forza creativa dirompente dell’amore in tutte le sue declinazioni e in ogni ambito; il cuore di un innamorato o quello di chi si prende cura di un popolo o di una comunità hanno già dentro sé l’immagine di quel pezzo di mondo rivoluzionato da bene che provano, e desiderano che ciò avvenga e agiscono perché avvenga. Vale per tutti ciò che Gandhi pensava per i grandi cambiamenti della storia:

ci sono potenze e poteri che sembrano invincibili per un periodo, ma poi crollano, l’unica cosa che resiste è l’amore.

Queste riflessioni ci spingono di fronte ad una caratteristica essenziale dell’immaginazione, che contempliamo nella potente e dolcissima scena già ricordata del libro dei Proverbi (8, 22-31): il Creatore crea l’Universo alla presenza della Sapienza, con cui gioca. L’immaginazione è un atto comunitario, affonda le sue radici in una storia, trae forza da un legame di appartenenza, cerca altri, pe ril cui bene è nata, produce storie. Quando l’atto immaginativo si slega da questa dimensione, si impoverisce e rischia di distorcersi o di disumanizzarsi, come attestano i sogni deliranti di tanti uomini nella storia.

Se questa è l’immaginazione, per noi immaginare non è solo una possibilità, è anche un compito, un dovere oggi,

scendere nelle cose senza accontentarci di una lettura orizzontale, guardare volti e ascoltare storie, non solo dati, insegnare a ringraziare, promuovere esperienze di formazione e profondità, produrre bellezza, tessere ovunque legami comunitari, in cui desiderare e dare forma al mondo nuovo.

‘I cieli nuovi e la terra nuova’ (Ap 21,1) nascono mentre si opera ogni giorno fra gli altri uomini ad asciugare le lacrime, ad aggiustare il pezzo di mondo che ci è stato affidato.

‘…Non posso starmene seduto./ A presto./ Domani/ ci rivedremo./ Oggi ho molte/ battaglie da vincere./ Oggi ho molte ombre/ da squarciare e sconfiggere./ Oggi non posso/ stare con te, devo/ portare a termine il mio compito/ di luce:/ andare e venire per le strade,/ le case e gli uomini/ sconfiggendo/ l’oscurità. Io devo/ farmi in mille/ finché tutto sia giorno,/ tutto sia chiarore/ e allegria sulla terra.’

(P.Neruda, da ‘Ode al chiarore’).

Massimo Leone

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