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L’illusione dell’amore perfetto

Paolo, Francesca e noi

Siamo ancora nuovi dell’Inferno quando con Dante e Virgilio arriviamo di fronte alla ruina del secondo cerchio, il salto nel vuoto nella bufera infernal che mai non resta riservato ai lussuriosi.

C’è un rumore frastornante, un mugghiare di vento simile ad un mare in tempesta battuto da venti contrari, in cui galleggiano qua e là solo grida disperate e bestemmie. È buio, c’è il rumore del buio, un luogo d’ogne luce muto, dove la luce tace perennemente e il buio assorda. E c’è il rumore dell’eternità, l’inumana condizione di non avere speranza di cambiamento, in cui sono afflitte ora le anime che davanti a noi il vento trascina, sballotta, rivolta, eternamente percuote, senza possibilità, nemmeno per un attimo, che esso si plachi o che la pena si alleggerisca.

La scena non lascia adito a dubbi: questi dannati sono coloro che sottomisero la ragione al desiderio.

Non capita a caso qui questa parola, punge subito i nostri sentimenti, evoca labirinti dell’amare, e traccia la traiettoria lungo la quale, nel turbinare caotico di anime, si muove una schiera particolare di lussuriosi: i morti per amore che avanzano ordinatamente come le gru. Sfilano Semiramide, Didone, Elena, Achille, Paride, Tristano, divenuti ombre fra mille altre ombre di donne e cavalieri che hanno popolato la letteratura e, nell’intimità di quelle narrazioni, la nostra immaginazione dell’amore. Non siamo soli infatti sul ciglio del vuoto, ma in compagnia di secoli di letteratura erotica materialistica e romantica, che aveva e avrebbe poi indagato, cantato, scolpito nell’immaginario il nesso inesorabile fra amore e morte.

L’amore-passione come travolgente desiderabilissimo eccesso di vita, che perciò inevitabilmente ad un certo punto desidera, quasi, o finisce, naturalmente, fra le braccia della morte.

C’è l’intera civiltà cortese che aveva riscritto il paradigma delle relazioni, definendo l’amore come una passione suscitata nel cuore dalla bellezza dell’amato, una forza tanto nobile quanto irrazionale e incontrollabile. Dante rimane sgomento ed è colto da pietà, e nessuno di noi può dirsi indifferente vedendo questo amore relegato nel fondo dell’inferno, figli come siamo di una cultura ancora intrisa di quest’idea di amore.

Chiedetelo ad esempio ai ragazzi.

Dice Elisiana (17 anni, 4 liceo): 

Eh sì, l’amore è un sentimento indefinibile che ti travolge mentre stai percorrendo indisturbatamente la strada della tua vita; è un imprevisto che le dà più senso.

E su questa linea Maria (anche lei 17 anni, 4 liceo):

L’amore provoca un senso di inesorabile appartenenza alla realtà, vissuta attimo dopo attimo, importa solo il presente pieno di amore e complicità.

Nel vento, fra le ombre, prende consistenza una storia esemplare, un amore perfetto. All’epoca fu un caso di cronaca, da ora apparterrà per sempre alla letteratura. I due quasi non hanno bisogno di presentazione.

Francesca è della nobile famiglia ravennate dei da Polenta, Paolo di quella riminese dei Malatesta, amanti, cognati, uccisi dal marito di lei e fratello di lui, Gian Ciotto, secondo il racconto dei primi commentatori. Si avvicinano a Dante e alla nostra vita come colombe, sulle ali della parola chiave desio, l’istinto amoroso mosso da una partecipazione affettuosa alla loro sorte, l’affettuoso grido di Dante. Sono leggeri nel vento, particolarmente leggeri, perché il vento che li trascina è il correlativo della passione amorosa, rapinosa e volatile, leggeri come sono leggere le ombre.

Insomma, a parte il buio infernale, qui tutto sembra avere scarsa densità ed essere destinato a svanire.

Intanto cominciano a piovere parole cortesi, i suoni si addolciscono, l’antico lessico dell’amore diventa il codice della comunicazione fra Dante, noi e gli amanti, volano sentimenti, la pietà/compassione è nell’aria già da un po’, la nostalgia dolorosa di un tempo felice. Francesca è abile, racconta una storia seducente, avvolta in un velo finissimo di retorica che, celatamente, tenta di persuaderci della loro innocenza.

“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.

Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense”.
Queste parole da lor ci fuor porte.

Insomma è colpa di Amore.

Amore che attecchisce immediatamente nei cuori nobili prese l’anima di lui per la bellezza di lei; Amore che a nessun amato risparmia di riamare prese lei della bellezza di lui tanto fortemente che ne è ancora avvinta, Amore li condusse insieme alla morte.

Chi ama lo capisce:

Amore alla fine si identifica con una persona, non una qualunque, quella che quando ce l’hai accanto ti senti attrarre come fosse il polo opposto della calamita, e che attraverso il tocco delle labbra ti trasporta in una dimensione parallela.


(Elisiana)

E Amore è ancora, qui nell’Inferno, il signore delle loro anime.

È vero, l’amore può redere i due amanti dipendenti l’uno dall’altro, reciprocamente succubi: non si resiste al desiderio di amare e di volersi sentire amati.


(Maria)

Così queste terzine si rivelano un dolce labirinto di frasi e di incroci passionali lei lui, in cui i due sono rimasti eternamente chiusi. Eternamente legati, ma non eternamente felici. La felicità per noi, dice lei, è stata un soffio ed è terribile ricordarla quando si è infelici. Dante china il capo, siamo di fronte al mistero. Nella fragilità di queste anime e delle loro parole, che, entrambe, tentano inutilmente di splendere ai nostri occhi, e di riaccendere la bellezza del loro mondo, mentre sono oscure ed evanescenti, si denuda il nostro desiderio di essere felici, e la facilità con cui nella vita si trasforma in illusione, anche quando sei convinto di amare nobilmente l’amore elevato cantato dai poeti, codificato nelle corti. Eppure, in questa evanescenza palpita il mistero della nostra umanità. Dante lo cerca, affonda una domanda nel vento della passione: a che e come concedette amore/ che conosceste i dubbiosi disiri?

Dov’è la radice del male in questo amore?

Se non è amore questo, questo serpeggiare furtivo di un sentimento reciproco che si scopre poco a poco, guardarsi nell’innocenza di un sospetto, star vicini, impallidire, essere travolti da un bacio, cos’è l’amore?

E’ un miscuglio di sensazioni che rendono vivi, fare il possibile per star vicini a chi ci rende felici. Solo questo si può dire, ciò che pensa la testa è surclassato da ciò che il cuore prova.


(Maria)

Francesca racconta, Paolo piange. Nelle lacrime della letteratura eroi e antieroi toccano sempre il proprio destino. E allora dentro la reticenza di queste lacrime Paolo sa che l’amore passione, benché sembri, non è realmente rivolto ad altrui, ma sommamente fondato nell’amor proprio, giacché si ama quell’oggetto come cosa che c’interessa, ci piace (G. Leopardi, Zib. 293),

è una gabbia di passione dentro cui ci si trova in due, ma dove l’altra persona non conta, non ha un volto.


(Elisiana)

Più e prima che la morte violenta dei due amanti, la tragedia a cui abbiamo assistito

è una tragedia di ogni giorno: credere di amare un altro mentre senza accorgersene si ama solo se stessi. La tragedia dell’amore imbrigliato nelle varie accezioni della carne e che ha perso la direzione verticale.

Ma cos’è, com’è allora l’amore vero?

Rimaniamo ancora un po’ nel vento ad assaporare l’amaro di ciò che non è amore, quello che move il sole e l’altre stelle, dovremo camminare, scendere, salire ancora molto con Dante per vederlo con occhi nuovi nella trama di tutto l’universo.

Massimo Leone con il contributo di Elisiana Natuzzi e Maria Morgese (studentesse liceali)

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