Il progetto Punta in Alto è partito nelle scuole e quante cose sto apprendendo grazie a questa nuova avventura e al contatto con i ragazzi.
Quante volte proviamo a dire qualcosa e qualcun altro interviene per dirci che non va bene? Quante volte ci capita di non sentirci liberi di scegliere? Quante volte diamo certe risposte, solo perché sono quelle che gli altri si aspettano da noi?
Ci siamo rese conto che a scuola alle volte capita di dire cose per accontentare il parere altrui, di dirle per far parte di un gruppo o per compiacere un insegnante così da ottenere un buon voto.
Da cosa l’abbiamo capito? Dalle facce costernate quando, durante il progetto, si chiede loro di dire cosa pensano, qual è il loro pensiero, cosa davvero hanno dentro. Loro ci guardano come se fossimo alieni sul pianeta Terra e sembra che ci vogliano dire : «Ma voi siete matte? Chi ce le ha mai fatte queste domande?». Anche i professori sembrano pensare lo stesso e temono: «Ma non staremo sprecando tempo? Io avevo da spiegare così tanto».
Eppure, non è forse il desiderio di tutti quello di essere ascoltati?
Non ci dimentichiamo che quando un ragazzo arriva in classe ha già con sé un importante carico emotivo. Preoccupato perché non sa che fine ha fatto il gatto, affaticato perché ha corso per non perdere il pullman, gioioso per come è finita la partita della sera prima, addolorato perché la sua famiglia non riesce a riprendersi da un lutto, arrabbiato perché ha perso una persona cara e non riesce a spiegarsi il perché… Come si può surclassare su tutto questo?
Il sistema scolastico sembra avere tempi troppo veloci rispetto a quelli dei ragazzi e la didattica prende spesso il sopravvento sull’attenzione alla persona. Quanto sarebbe invece utile anche solo chiedere, durante l’appello, lo stato d’animo del giorno? Si creerebbe empatia, si insegnerebbe l’ascolto attivo ed i ragazzi si sentirebbero più accolti e predisposti alla didattica. Si trascorrono così tante ore insieme in una classe eppure non ci si conosce e non ci si preoccupa dell’altro.
Significativo un episodio del progetto in cui gli alunni sono stati invitati a scegliere una immagine che rappresentasse il loro carattere. Ogni ragazzo ha fatto la sua scelta. Poco dopo, l’insegnante volgendo la sua attenzione su uno dei ragazzi presenti, lo guardò e a voce alta disse che era sorpresa della scelta del ragazzo. L’immagine infatti rappresentava un qualcosa di cattivo, di forte e secondo l’insegnante non corrispondeva al suo carattere.
Ed ho pensato: quante volte pensiamo di conoscere le persone? Mi sono accorta, che alle volte senza rendercene conto le etichettiamo. Ma come ci sentiamo quando riceviamo un’etichetta? «Tu tanto sei quello buono, perché scegli quest’immagine così cattiva?»
La verità è che in ognuno di noi c’è un mondo che tante volte gli altri non conoscono e che tante volte non mostriamo.
Questo episodio ha suscitato una reazione nell’alunno che ha in qualche modo affermato che la scelta doveva essere la sua e non di altri. Perché, ragazzi… a volte i nostri tentativi di venir fuori, di farci conoscere possono essere bloccati dalle etichette di chi ci è vicino e pensa di sapere chi siamo. È ciò che pensiamo di conoscere già che ci impedisce di scoprire di più sull’altro. Non arrendiamoci allora! Impariamo ad andare oltre!
Alessandra Merlini