Giovannino, come siamo lontani! Eppure come siamo vicini! Siamo quasi la stessa persona, rivedo in te mio figlio piccino e do a te quanto a lui non potei dare. Ero giovane, dovevo troppo lavorare, non lo vedevo che alla mattina e alla sera, quando ancora e già dormiva. Vengo a trovarti tutti i giorni, Giovannino, e se piove rimaniamo in casa a giocare col “sole”, accendendo il lampadario della sala da pranzo. Se il tempo è bello andiamo alle giostre, piene di nonni e di nipotini”.
(dai racconti di Giovanni Mosca)
“Già non possono più vedere l’espressione del nostro viso e il nostro sorriso, sorridiamo e parliamo con gli occhi e con i gesti, visto che dobbiamo indossare la mascherina. Ma vedere che noi siamo tesi, stare in queste situazioni, non è vivere, non è neanche sopravvivere. La condanna più grande la subiscono loro!”.
Parole di un’infermiera che esprimono tutto il dolore e il rammarico degli operatori sanitari che hanno vissuto con gli anziani la prova durissima del Covid 19 e li hanno visti, impotenti, morire.
Nei giorni della pandemia, tutti abbiamo sentito pronunciare parole strane in riferimento alla cura degli anziani come “ è stato necessario scegliere”, “sanità selettiva”, “stato di necessità”, parole che indicano il grave pericolo di un modello di sanità che giustificherebbe una forma di “scelta” in favore delle persone più giovani e più sane rispetto ai più anziani.
«La crisi attuale – scrive in una lettera il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita – è figlia di un abbandono assistenziale e terapeutico degli anziani che viene da lontano. Pur nella complessità della situazione che viviamo, è necessario chiarire che salvare la vita delle persone anziane che vivono all’interno di strutture residenziali o che sono sole o malate è una priorità tanto quanto salvare qualunque altra persona”.
Ne va del futuro delle nostre comunità ecclesiali e delle nostre società poiché, come ha detto di recente Papa Francesco, “gli anziani sono il presente e il domani della Chiesa”».
Moltissime sono le persone che hanno reagito di fronte al consumarsi di questo dramma con parole forti e coraggiose:
«Abbiamo perso migliaia di nonni, che erano il punto di riferimento di tantissimi nipotini. Le famiglie ne saranno impoverite – commenta fra Marco Fabello, direttore della rivista “Fatebenefratelli” –. Sono morti anche tanti preti: bisogna raccontare come hanno vissuto prima di morire, che sono morti perché hanno vissuto in un certo modo la vicinanza ai loro fedeli. Ed è stato indegno vedere tante persone morire sole, altrettanto doloroso vedere le bare caricate senza funzioni religiose, senza benedizioni, tranne poche circostanze. Senza dimenticare che nell’isolamento gli anziani soffrono di più”.
“Umiliati e offesi – dice il professor Marco Trabucchi – Umiliati perché si sono trovati ai margini degli interventi sia nelle case di riposo, sia nelle proprie case e sia negli ospedali.
Offesi perché fatti sentire come un peso per l’organizzazione, solo dei costi e non col pieno diritto di far parte della cittadinanza e della vita… la vita non si misura per quantità, ma ogni momento ha un suo peso inestimabile. Invece si sente un coro, inespresso o apertamente detto: tanto sono dei vecchi…”.
La Comunità̀ di Sant’Egidio, fin dai primi anni ’70, ha guardato con amicizia e simpatia al mondo degli anziani ed ha orientato molte delle sue energie per loro. Per questo, non ha lasciato cadere questo dramma umano che si sta consumando nel mondo, ma ha rivolto a tutti un Appello accorato che rimetta in primo piano l’urgenza di ripensare al più presto la modalità delle cure sanitarie per gli anziani al fine di ri-umanizzare le nostre società.
Vogliamo parteciparvi anche noi, come comunità Nuovi Orizzonti, e invitiamo i nostri lettori a leggerlo con attenzione e ad aderire all’iniziativa facilitandone la diffusione.
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