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L’isola dei giocattoli difettosi

“Noi siamo infinito” è un film per tutti


Mattina presto. Mi alzo e leggo il post di un’amica, fotografata accanto alla pendente torre di Pisa, che nel post scrive: “le imperfezioni mi rendono unica”.
È una frase che mi scuote per tutta la giornata, perché evidentemente c’è qualcosa in me che è stato contattato e che vuole parlarmi… qualcosa che tantissime volte nascondo sotto il tappeto, una voce irritante che non voglio ascoltare. La voce che mi dice che non sono perfetto, che prima o poi sbaglierò perché tutti sbagliano e che qualcuno lo devo deludere.
Non so se anche voi avete mai fatto questi pensieri.

Nel film “Noi siamo infinito”, viene raccontata la storia di Charlie e del suo primo anno di liceo e soprattutto della sua amicizia con alcuni ragazzi che il liceo lo stanno per finire. Portandoci dentro l’universo di chi si sente diverso, ferito e non compreso, Charlie ci racconta anche dei suoi blocchi, delle sue crisi emotive, delle incertezze relazionali e del suo bisogno d’amore, strano e confuso.
È un racconto sull’imperfezione, di chi si sente “triste anche se felice, anche se non so come sia possibile”.

Come si fa a guardarsi allo specchio senza giudicarsi?
Com’è possibile uscire dalla desolazione?
Forse nessuno ha mai trovato le risposte, ma sicuramente questa imperfezione ci rende tutti uguali.

“Credevo che nessuno mi avesse notato” è la frase che Charlie pronuncia durante la festa con gli amici, come quando durante il ballo scolastico resta in disparte da solo appoggiato al muro, ad osservare l’allegria degli altri senza trovare la sua.
È la storia di imperfezioni che si intrecciano, della fragilità di Charlie ascoltata pian piano e delicatamente guarita dalla presenza di amici veri; della fragilità nascosta di Sam, la ragazza di cui lui si innamora, non degna di amore perché abituata a vendersi a ragazzi che la trattano uno schifo; della fragilità accettata ma non compresa di Patrick, ragazzo gay che non si vergogna di questo ma è costretto a nascondere la cosa agli occhi di tutti; della fragilità negata di Brad, suo fidanzato, che verrà picchiato a sangue dal padre appena li scopre insieme; dell’insicurezza e i bisogni di Mary Elizabeth, l’amica buddista ribelle e fuori moda che mette in piedi lo spettacolo del “Rocky Horror Picture Show”, emblema del disordine interiore.
E quando in un momento di dolore, Charlie dirà “a volte mi incasino dentro” penso a tutti quei ragazzi che non riescono a dire quello che provano, che preferiscono rimanere in silenzio piuttosto che sfogarsi e raccontare la verità, a tutti coloro che stanno scappando.
Eppure, è proprio nel poter condividere quella fragilità con qualcuno che si trova casa. Essere voluto così come sono senza strani compromessi, genera amore, amore vero. Fa diventare sinceri, rende la nostra vita più leggera, dove posso permettermi di essere storto perché alla fine, tutti lo siamo. È quello che vuole dire Sam quando nella festa si avvicina a Charlie, convinto di essere invisibile a tutti, e gli dice con forza: “Benvenuto sull’isola dei giocattoli difettosi”.
Esiste infatti una bellezza nella fragilità che tante volte non vediamo, che ci viene difficile a credere.
Me ne parla sempre la Scrittura quando leggo quella pagina di Paolo che dice “noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi” e allora tutto d’un tratto ritrovo serenità e sollievo, meditando questo incredibile rapporto tra la creta e il tesoro.

Charlie lo comprende innamorandosi di Sam, contemplandola e vedendo la sua velata bellezza, una bellezza “che va trattata come una questione importante.

Quanti di noi pensano che ciò sia vero? Che credono alla bellezza dell’imperfetto?
C’è una domanda lecita, che risuona nei pensieri di Charlie:
“Perché le persone migliori scelgono le persone sbagliate?
e il suo professore di lettere gli risponde:
Accettiamo l’amore che crediamo di meritare!”

Tantissime volte lo faccio anch’io, temendo l’inesorabile giudizio di me stesso. Mi guardo con sufficienza e non riesco a trovare niente di bello in me.. niente che sia stimabile o degno di essere guardato, niente di positivo… niente di risolvibile… sono quelle notti che non passano mai, dove davvero ti chiedi se hai fatto la cosa giusta e il tuo disordine vorresti buttarlo in un cassonetto per ricominciare di nuovo.
Eppure l’amore abbatte queste difese, rompe questa prigionia a lungo incontrata.
È un amore fedele che mi fa essere me stesso, che mi migliora, che mi libera.
Ma allora, com’è possibile che stiamo ancora male?
Dinnanzi al fatto che è normale essere fragili e all’impotenza che provo, un po’ come Charlie, nel voler fare qualcosa per qualcuno che non vuole fidarsi e lasciarsi accettare, mi domando: perché non posso salvare tutti?
Perchè se l’amore è così forte e Dio è onnipotente non posso salvare tutti?
É la domanda che si pone Patrick, inerme davanti alle botte che il suo fidanzato riceve.
E io mi rispondo, che non posso salvare chi non vuole essere salvato.
Ci viene difficile accettare le nostre radici, i nostri abbandoni, i rifiuti che abbiamo ricevuto e trascurando la stima che dovremmo avere di noi, trascuriamo la vita.
Nel film si scoprirà che la maggior parte delle difficoltà di Charlie erano date dalla violenza subita da parte di sua zia Helen, e mentre è ricoverato in una clinica per rielaborare il trauma, con voce fuori campo dice: “Non possiamo scegliere da dove veniamo, ma possiamo scegliere dove andare da lì in poi”!

Io non posso salvare nessuno, solo Dio può. Ma solo se quella persona lo vuole.
Voi volete essere amati?
Volete davvero vivere la vostra vita con intensità?

Il finale del film si svolge su un furgoncino, mentre i protagonisti attraversano il ponte della città. La base che ascoltano in sottofondo è “Heroes” di David Bowie, che ad un certo punto parla della possibilità di essere noi stessi, di essere eroi perché possiamo essere NOI! Proprio in quel momento, Charlie si alza in piedi sul furgoncino e alzando le mani al cielo confessa di aver capito che quello “è il momento in cui sai di non essere una storia triste”.
Ha capito che la vita vale la pena, al di là di tutto.
Allora penso che aveva ragione la mia amica, a pubblicare quel post, ha visto più lontano degli altri.

E tu che storia sei?
Questa è la domanda che vorrei lasciare a chi sta leggendo.

E se pensi di non avere il coraggio di raccontarla, di condividerla a qualcuno, se pensi che non è importante o hai vergogna di quello che sei, non ti preoccupare…  

Benvenuto sull’isola dei giocattoli difettosi!

David Martinez

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