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Papà, tu esisti dentro di me!

“Perché sei qua?”. “Perché da quando è morto mio papà non ho più nessuno.”

Ci troviamo a Fortaleza a Praça Ferreira situata nel centro della città tra grattacieli e quartieri ricchi. Quel luogo, al calare del sole, si popola di gente, persone sole, ferite che per non vedere e sentire dolore trovano nella droga, nello spaccio, nella prostituzione una soluzione ai vari problemi: abusi subiti, violenze ricevute, disagio economico, mancanza di una famiglia, abbandono.

Tocco con mano l’inferno tutto in una sera. Lo osservo, lo guardo, mi sento impotente e provo paura. Ciò che posso fare è fermarmi e mettermi in ascolto, cercando di accogliere il grido dell’altro che parla al mio cuore. Questa la voce che sento dentro: porta il cielo dove regna l’inferno in quell’abisso di dolore e amore a cui IO ti chiamo. E così ho iniziato a buttarmi ad amare per far sperimentare all’altro un pezzo di paradiso, di quello che io cerco di vivere nella mia quotidianità.

Il primo incontro è stato con una ragazza di 23 anni. “Perché sei qua?”. “Perché da quando è morto mio papà non ho più nessuno”. Da quando il padre non c’è più vive da sola in strada. Tutto quello che ha sono un sacchetto di plastica con dentro l’essenziale e un cartone per dormire.

Mi corre incontro per vedere chi sono. Mi guarda con gli occhi di chi non ha più speranza. È lì, ferma, immobile, nell’attesa che qualcuno la veda, l’accolga, l’abbracci, le dica qualcosa per farla sentire ancora viva, per donarle di nuovo quella vita che le è stata sottratta.

La mia mano afferra la sua e la stringo forte per farle sentire la mia presenza. Il suo palmo a contatto con il mio genera forza, una sinergia d’amore.

Ha lo sguardo assente, la bocca anestetizzata dalla droga tanto da non riuscire quasi a parlare. Con voce flebile tenta di dirmi il suo nome ma faccio fatica a capirlo.

Questo incontro mi spiazza. Mi mette di fronte al rapporto che io ho con mio papà. Sento dentro un dolore profondo seguito dal grido TI VOGLIO BENE E TE NE VOGLIO veramente. Tu esisti dentro me!

Per lei il padre era tutto. Era l’affetto più grande che aveva, era il bastone a cui appoggiarsi, era il punto di riferimento a cui guardare, era l’uomo che in qualche modo si era preso cura di lei, dimostrando la sua presenza come poteva, come era capace.

La mancanza fisica del padre nella sua vita ha generato la morte che l’ha portata a vivere l’inferno, la solitudine, l’emarginazione più totale. Questo dolore l’ha colmato con la droga che ha anestetizzato tutto, sottraendole la vita che il padre le ha donato.

E io come ho reagito davanti a tutto questo? Scappare non potevo, accogliere sì. Accogliere una mancanza che è ancora presenza. Presenza viva perché io un papà ce l’ho e gli voglio bene. Mi viene da ringraziarlo per come ha saputo a suo modo amarmi. Il suo come mi parla, i gesti che fa dicono tanto e non sono scontati. Forse il suo modo di amare è diverso dal mio e dal modo in cui io vorrei essere amata. Mio papà era la persona più importante della mia vita.

La separazione famigliare, seguita poi dal divorzio dei miei genitori hanno cambiato il nostro rapporto. Si è molto allentato creando in me un vuoto, una mancanza della sua presenza nella mia quotidianità nonostante lui ci fosse fisicamente. Mi è mancato e mi manca tutt’ora.

Ho voglia di abbracciarlo, di stare con lui,  semplicemente di parlarci, ridere, scherzare. Ho nel mio cuore il desiderio che lui sia felice e sereno con sé stesso e con me.

La ragazza trovava nel padre tutto e quel tutto l’ha perso con la sua morte.
Io, invece, posso ancora lasciarmi travolgere da quella smisurata misura d’amore che mio papà, a suo modo, può donarmi.

Alessia Dosi

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