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Lezioni di calcio, lezioni di vita

Forse qualcuno pensa che lo sport sia solo sport, sia solo competizione atletica. Può darsi. Io sono tra quelli che pensano che dietro allo sport ci siano anche autentiche lezioni di vita.

Anche io sono rimasto subito colpito quando ho saputo improvvisamente della faccenda di Christian Eriksen. Non volevo crederci, ma poi ho letto davvero che “durante una partita degli europei di calcio, il centrocampista della Danimarca è caduto a terra, privo di sensi e con gli occhi spalancati”.

Ho avuto un presagio di drammaticità, di tragedia. Di colpo qualcosa mi ha tagliato dentro, mi ha scosso come un terremoto interiore, mi ha bagnato gli occhi e non mi ha più permesso di pensare… volevo solo essere testimone di un miracolo.

Oggi, grazie a Dio, possiamo vedere tutto alla luce delle buone notizie, e questo forse ci permette di intravedere meglio la lezione di vita che ci è stata lasciata.

Mi sembra di aver visto qualcosa che è andato oltre lo sport, che è entrato nel nostro modo di approcciarci al mondo, interrogandoci su noi stessi e su ciò che veramente vale.

Ci ha interpellati nel nostro modo di essere leader

o di considerarci amici.

Faccio riferimento al comportamento di Kjaer, capitano della Danimarca, corso a soccorrere il compagno, che in un momento così tragico e incomprensibile, improvviso e duro, ha richiamato tutta la squadra con prontezza e chiarezza attorno al suo amico.

Ricorderemo la sua lucidità per spostare la lingua di Christian in arresto cardiaco guadagnando quei secondi vitali per l’arrivo dei medici.

Ricorderemo il suo abbraccio di conforto a Sabrina, la moglie di Christian, corsa in lacrime in mezzo al campo.

Forse da adesso assoceremo l’idea di capitano al senso di “accorgersi”, di “correre incontro”, di “rimanere vicino”, di “prendersi cura”.

È l’immagine di quello che vorrei essere:

un amico che non ti gira le spalle, che nell’istante più difficile dimostra di saper rimanere accanto, che sa prendersi cura di te ma anche di quelli che ami, che trascina tutti per darti forza.

E’ un episodio che ci ha anche interpellati nel nostro modo di essere gruppo, di comportarci come famiglia.

L’indimenticabile immagine di tutti i suoi compagni che hanno fatto un cordone attorno a Christian mi ha dato l’esempio speciale di cosa vuol dire fare da scudo a qualcuno nel momento più difficile. 

Forse per proteggere la riservatezza del drammatico momento dagli occhi di telecamere e smartphone, mi ha ricordato che anche se siamo scossi, un po’ spaesati e fragili, si può essere uniti ugualmente per le cose che contano.

Mi hanno ricordato la bellezza che respiro quando sento un senso di famiglia. Quando mi sento al riparo, dove trovo uno spazio protetto.

E non solo vedendoli rimanere lì, ma anche quando li ho visti scortare Christian e i medici fuori, rimanendo sempre attorno a lui: mi sono ricordato di quanto è prezioso accompagnarequalcuno nei suoi momenti di dolore.

È un fatto che ci ha interpellati anche nel nostro sentirci diversi, nel come essere rivali.

Nel comportamento dei tifosi che sono rimasti ad attendere in rispettoso silenzio durante il dramma… e poi nel frattempo di sapere se la partita continuasse o no, hanno innalzato un coro emozionante.

Abbiamo sentito queste tifoserie opposte cantare insieme,  i finlandesi urlare “Christian!” e i danesi rispondere “Eriksen!”,ricordandoci che si può vivere avendo rispetto per gli avversari, che si può avere la stessa voce anche da spalti opposti, che si può competere nel gioco, ma unirsi nella vita.

Mi sento di chiamare tutto questo: MIRACOLO.

Il miracolo di Christian, che era morto e tre massaggi cardiaci non bastavano per rianimarlo. Ma oggi è vivo.

Il miracolo di una tragedia diventata lieto fine, dove il custodire la vita ha superato divisioni, nazionalità, ruoli, bandiere e tifo: l’ho visto nelle lacrime degli allenatori delle altre nazionali, nei segni di rispetto, di commozione, di gratitudine di tutti i tifosi, nelle dediche dei vari giocatori che dopo il gol hanno gridato “Chris, ti voglio bene!”, quasi “umanizzando” il calcio.

È il miracolo di una possibile tragedia che ha tirato fuori il meglio di noi.

Dove poter ricordare che nulla è più grande di fronte al valore della vita.

Dove poter ricordare che non servono trofei o medaglie, quando il dono più grande di tutti ce l’abbiamo già.

È quello che ci unisce tutti, è quello di essere vivi.

David Martìnez

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