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Un desiderio di gravità

Gravity: un incontro spirituale nello spazio

Cerco un centro di gravità permanente,

che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose, sulla gente

cantava qualcuno.

Forse alcune vite le viviamo cercando, inconsapevolmente o meno, di mantenere un certo punto fisso in cui la forza di gravità delle cose che ci circondano rimanga stabile.

Possiamo dargli tantissimi nomi. E in quasi tutti i casi, esso non si può controllare.

In Gravity, film di Alfonso Cuaròn, è lo spazio la culla in cui muoversi per ricostruire una vita.

È la nostra ricerca di gravità quotidiana.

Tanti di noi hanno una forma di timore nel vivere, che nasce dopo un trauma o un insuccesso o una delusione o qualcosa del genere.

Per Ryan, la nostra protagonista, tutto questo è portato al peggio: lei è sopravvissuta a sua figlia. Vedere una figlia di 4 anni morire forse è la cosa peggiore per una madre, è già perdere tutto.

Ryan è così, lavora per la NASA come ingegnere medico ed è in missione per riparare una stazione spaziale in orbita, ma fluttua nello spazio senza un preciso scopo vitale.

L’assenza di gravità circonda la sua vita, così come ogni scena di questo film. Ogni inquadratura galleggia, senza un punto di stabilizzazione. Tutto resta continuamente fluttuante.

È così l’animo di Ryan,

di una madre un po’ dispersa perché ha perso tutto quello che aveva.

E mentre lavora alla stazione spaziale, l’esplosione di un satellite trasforma i detriti in proiettili nello spazio che rendono il rientro a casa complicato. Quasi impossibile. Sono mille tentativi oscillanti di sopravvivenza, provando in tutti i modi a raggiungere la madre Terra.

Durante il tentativo di ripartire, ha l’aiuto di Kowalsky, il tenente che la guida e che nell’assalto dei detriti la salva, sganciandosi da lei e sacrificandosi.

Devi imparare a lasciar andare”

le dice lui mentre si allontana, disperdendosi nello spazio profondo. Le sue parole hanno senso profetico.

Devi dirmi che ce la farai!”

Ryan le prova tutte per sopravvivere da sola, in mezzo allo spazio inesplorato.

È un ambiente così immenso che fa paura vederti lì disperso.

Sai che sei da solo e non sai cosa fare, senza poter comunicare con nessuno, nel vuoto infinito e ignoto, e se muori nessuno verrà a cercarti, nessuno avrà un feretro per pregare davanti al tuo corpo. Sai che morirai così, solo. In mezzo al nulla.

Forse a paragonarsi con lo stato d’animo di una mamma che non è più madre.

Ryan è stanca, da sola, esanime, senza più nessuno. Ha perso la voglia di provarci.

Ma come accade spesso nei nostri momenti di crisi, si accende una lampadina… come un’intuizione che ti fa visita di sorpresa per dirti quello che non riuscivi a sentire prima. È una scena profondamente spirituale, in cui Ryan è all’interno della capsula di salvataggio ormai arresa, decisa a lasciarsi andare.

Ha spento tutto. Sta togliendo l’ossigeno.

Gli resta solo la radio con cui ascolta gli ultimi suoni della vita normale sulla Terra.

Non le resta più niente e ha deciso di lasciarsi morire lentamente. Mangiata dallo spazio.

Ma d’improvviso riceve una visita inaspettata all’interno dell’abitacolo, che le dirà:

“Certo è bello quassù.

Puoi chiudere tutti quanti gli impianti, spegnere tutte le luci, chiudere gli occhi e ascoltarti il mondo.

Qui nessuno ti fa del male. Sei al sicuro.   Che senso ha andare avanti? Che senso ha vivere?

Conta solo quello che farai adesso.

Se decidi di vivere dovrai mettercela tutta. Mettiti comoda, goditi il viaggio. Devi piantare i piedi bene a terra e cominciare a vivere la tua vita.

È ora di tornare a casa.”

E’ un incontro spirituale. Il più potente mai avuto.

Dove pure in mezzo al nulla più assoluto qualcosa succede.

Ryan riapre i suoi sensi e si accorge di quell’istante.

E quello che doveva essere il suo ultimo atto è un pensiero a sua figlia: pensa a lei e ai suoi capelli castani, alla scarpetta che aveva smarrito, e decide di usare tutte le forze per uscire dalla difficoltà e tornare finalmente a casa.

Decide di non mollare e tentare il tutto per tutto.

Non più senza meta. Torniamo a casa.”

è il grido prima di imbarcarsi verso la Terra. E quando deve attraversare l’atmosfera in picchiata alla cieca, avrà un attimo di lucidità parlando alla stazione spaziale che nemmeno la ascolta.

Comunque andrà a finire,

non è colpa di nessuno,

perché in ogni caso sarà stato un grande viaggio!”

Non sa se andrà a finire bene o l’atmosfera la brucerà nel suo passaggio.

Ma è un grande viaggio. Un’avventura unica, irripetibile, speciale per ognuno la vita di tutti noi!

E con lo sguardo fisso all’orizzonte che la attende, Ryan dà l’ultima spinta di carburante, e lo dice, finalmente fiduciosa e decisa:

Sono pronta!”

Mi chiedo se lo sia anche per me.

Con una motivazione forte, con la spinta decisiva per accogliere la vita, e con il carburante giusto per affrontare il mio viaggio…

qualunque esso sia.

David Martìnez

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