Sono le sette di sera. Improvvisamente una brezza leggera – tiepida – mi accarezza il viso, quando, chiusa alle mie spalle la porta di casa, mi appresto ad uscire per una breve passeggiata. La primavera è ormai arrivata, e il profumo dei ciliegi in fiore è inebriante. Ma in giro non c’è quasi nessuno. Uno strano silenzio avvolge il viale che porta all’Healy Hall, l’edificio di punta del campus principale della Georgetown University a Washington DC. Solo un mese fa a quest’ora, quando le sferzate invernali ancora si facevano sentire, c’era decisamente molta più vita! Tutto è davvero strano, paradossale, a tratti inquietante. La pandemia da Coronavirus ha purtroppo teso i suoi tentacoli fino a qui e gran parte degli studenti non è più rientrata in sede dopo lo Spring Break di inizio marzo. O meglio, è stato chiesto loro di rimanere a casa.
Alzo lo sguardo in direzione dell’edificio che ospita una delle biblioteche dell’università, la Lauinger Library. Ed ecco che un dettaglio per la prima volta mi colpisce: una scritta, in latino, che si staglia su un fondale luminoso: “Cognoscetis veritatem et veritas liberabit vos”, ovvero “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Onestamente non me ne ero mai accorto prima di questa sera. Ed ecco che questo semplice versetto, tratto dal capitolo ottavo del vangelo secondo Giovanni, comincia a smuovere qualcosa nel mio cuore.
In un attimo tutto un treno di pensieri attraversa la mia mente. Quanti libri ed articoli letti in queste settimane. Rifletto su come la bioetica sia arrivata ad espungere Dio dall’orizzonte di senso e di come la gran parte degli eticisti si sia definitivamente emancipata da questa variabile “ammuffita”. Rimane solo qualche teologo che prova ad entrare nel campo, e non senza un mal celato imbarazzo e con molta circospezione quando deve ricorrere alla nozione di “Dio” nel suo argomentare. Un argomentare che, di fondo, per essere accettato, si trova a ricalcare pari pari lo stile proprio della controparte secolarizzata. Del resto l’uomo ha dato prova di cavarsela bene anche da solo. “Science flies you to the moon. Religion flies you into buildings”, affermava ironicamente qualche anno fa lo scienziato e filosofo americano Victor Stenger. Di fronte ai prodigi della tecno-scienza, che ha garantito – almeno per l’Occidente – uno standard di vita incomparabile da quando l’uomo è apparso sulla terra, la sfera legata al sacro e al religioso è stata sempre più marginalizzata, confinata in qualche sagrestia polverosa, resa definitivamente innocua. Nel nome di Dio si sono fatti i più tremendi eccidi, recita una certa vulgata. E, se da un lato l’uso ideologico della religione è un pericolo da cui sempre guardarsi, dall’altro non possiamo non registrare come ogni pretesa di verità finisca oggi per diventare sinonimo di intolleranza. Ci siamo scottati con questa storia della verità e abbiamo preferito sostituirla con altri termini meno impegnativi e provvisori. Abbiamo assimilato bene l’adagio nietzschano “non esistono fatti, ma solo interpretazioni”, tanto da farne un dogma indiscusso. L’unico, dal momento che tutto il resto è diventato liquido, anzi, gassoso.
Così l’uomo si è emancipato dalla verità e da Colui che di sé ha detto: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”. Figli di un post-modernismo che ha definitivamente decostruito ogni cosa, che ha cioè demolito quanto altri avevano edificato senza preoccuparsi di come ricostruire, ci troviamo improvvisamente spiazzati di fronte alle domande di senso che emergono prepotentemente in questi giorni, quando un nemico invisibile si muove nell’aria. Ci sentiamo mancare il terreno sotto i piedi costatando come la tecnoscienza faccia fatica a mantenere le sue promesse di salvezza in questo momento storico. È bastato un esserino di pochi micron – che, tra l’altro, formalmente non si può classificare nemmeno come vita – a gettare nel caos una civiltà iper-tecnologica, che ora arranca a trovare il modo di fermare quella che a tutti gli effetti è una pandemia globale. D’un tratto ci si riscopre un’unica famiglia, composta da individui fragili e persi, non onnipotenti come ci si illudeva, in balia di eventi che non riusciamo a governare e che ci costringono a compiere scelte etiche drammatiche: quali vite salvare? a chi dare la priorità? constatando amaramente come il triage sia diventato giorno dopo giorno una drammatica routine.
Ma non basta. La recente sparata del premier inglese Boris Johnson – poi rettificata – circa il non interventismo in materia di prevenzione dell’infezione da Covid19, lasciando di fatto esposta l’intera popolazione britannica al contagio senza adottare alcuna contromisura allo scopo di sviluppare la cosiddetta “immunità di gregge”, non è l’ennesimo delirio populista come molti potrebbero pensare, bensì la lucida e consequenziale traduzione pratica di certi assiomi che in questi anni abbiamo dato per assodato. Una visione del mondo rinchiusa nell’immanenza, in cui le sole forze operanti sono quelle cieche della selezione naturale, non può non generare una prassi che in qualche modo ne ricalchi la matrice teorica, ovvero un certo darwinismo sociale, per quanto esso continui ad apparire ripugnante – e grazie a Dio, è il caso di dirlo – ad ogni persona che conservi ancora un briciolo di buon senso e di umanità. “Le idee hanno delle conseguenze”, affermava il filosofo americano Richard M. Weaver, per quanto uno possa anche non esserne consapevole o magari non volerne proprio prendere atto.
Guardo e riguardo quella scritta luminosa, mentre cala l’oscurità: “Cognoscetis veritatem et veritas liberabit vos” e penso a tutto questo.
un futuro diverso, costruito non sulla sabbia dei nostri deliri di onnipotenza, ma sulla salda roccia che è Cristo, Sapienza e Potenza di Dio;
un futuro che abbia un volto umano, veramente umano, perché vissuto finalmente da figli “amati del Padre”.
Penso a tutto questo, mentre il giorno volge al declino, e il silenzio regna sovrano, in questa Quaresima che assomiglia tanto ad un lungo Sabato Santo.
Domani sorgerà un’altra giornata di primavera, e i ciliegi spargeranno ancora il loro intenso profumo, quale promessa che lo sposo è sempre con noi:
“Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto! Perché, ecco, l’inverno è passato, è cessata la pioggia, se n’è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato e la voce della tortora ancora si fa sentire nella nostra campagna. Il fico sta maturando i primi frutti e le viti in fiore spandono profumo”
(CdC 2,10-13)
Don Diego Puricelli